Una montagna di debito pubblico in scadenza e a costi crescenti

Fa tremare i polsi lo stock di debito pubblico italiano in scadenza nel breve periodo e a costi sempre più alti. Spesa per interessi in salita.
1 anno fa
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Debito pubblico italiano in scadenza per oltre 400 miliardi di euro in un anno
Debito pubblico italiano in scadenza per oltre 400 miliardi di euro in un anno © Licenza Creative Commons

Di mese in mese, di record in record il debito pubblico italiano ha superato i 2.840 miliardi di euro nel mese di giugno ed è salito a quota 2.843,1 miliardi. Entro la fine dell’anno dovrebbe raggiungere vette ben superiori, stimabili in area 2.865 miliardi. Sta scritto nel Documento di economia e finanze pubblicato dal governo Meloni. A questi ritmi, entro un paio di anni saremo a 3.000 miliardi, infrangendo l’ennesima soglia psicologica impensabile fino a prima del Covid. Perlomeno, in tempi così stretti.

Se la corsa del debito pubblico resta sostenuta, il PIL rallenta. Tra le stime ufficiali del governo e l’andamento reale indicato dall’Istat per il secondo trimestre esiste già una piccola divergenza di qualche decimale di punto percentuale. Nulla da impensierire sullo stato dei conti pubblici, ma già possiamo scorgere un possibile “buco” di un paio di miliardi di euro. Per quanto pochi possano sembrare, siamo in una fase in cui raschiamo il fondo del barile e ogni centesimo serve.

Cresce costo di emissione BTp

Tralasciando possibili criticità, la certezza è che il debito pubblico in scadenza nel breve termine da rifinanziare sotto forma di titoli di stato sia una montagna elevata. Al 31 luglio scorso, vi erano più di 401,85 miliardi di euro di bond da rifinanziare entro i successivi dodici mesi. A questo dato, che già equivale a circa il 20% del PIL, vanno sommate le emissioni necessarie per finanziare il disavanzo fiscale, atteso nell’ordine dei 70-80 miliardi. Arriviamo a un totale di 450 miliardi, considerata la quota parte di deficit relativa ai primi sette mesi del 2024. Da ciò possiamo detrarre i circa 45 miliardi che arriveranno dall’Unione Europea grazie al Pnrr tra terza, quarta e quinta rata. Sempre che non vi saranno ulteriori ritardi, s’intende.

Resta il fatto che in un anno il Tesoro dovrà emettere sui 405 miliardi di titoli.

Al primo semestre di quest’anno, il costo medio di emissione risultava salito al 3,55% dall’1,71% di un anno prima. A tassi invariati, le emissioni lorde ci costerebbero intorno a 14,5 miliardi. Allo stesso tempo, smetteremo di pagare gli interessi sui bond in scadenza. Il saldo, tuttavia, è nettamente negativo per i conti pubblici. Infatti, in media il debito pubblico italiano presenta una vita residua di 7 anni. Questo è un dato oramai costante da anni. Grosso modo, dobbiamo attenderci che in scadenza arrivino nei prossimi mesi i titoli emessi tra il 2016 e il 2017, quando i tassi scesero all’allora minimo storico dello 0,55-0,60%. Solo in era Covid riuscimmo a rifinanziarci a costi ancora inferiori.

Costo emissione debito pubblico italiano

Debito pubblico, boom spesa per interessi

Tirando le somme, risparmieremmo un paio di miliardi di interessi per andarne a pagare più di 14 sulle nuove emissioni. La spesa per interessi sembra destinata a lievitare in valore assoluto. E partiamo già da una base di 75-80 miliardi di euro all’anno. Prima del maxi-aumento dei tassi, eravamo scesi fin sotto 65 miliardi. Questi numeri non devono impressionarvi. Lo scopo non è certo di paventare chissà quali scenari catastrofici, bensì di segnalare quanto la gestione del debito pubblico limiterà anche nel prossimo futuro l’azione del governo.

Negli anni in cui i tassi di interesse erano infimi, avremmo potuto e dovuto allungare la vita media del debito pubblico, cosa che non è avvenuta. I governi di turno approfittarono del crollo per risanare il bilancio statale ed eventualmente utilizzare quei risparmi per svariate finalità fiscali. Se avessimo per ipotesi raddoppiato le scadenze medie, oggi ci ritroveremmo a gestire una massa di titoli da rifinanziare nell’ordine dei 170 miliardi in meno all’anno. E probabilmente lo faremmo a costi anche inferiori, perché il mercato percepirebbe positivamente una vita media dello stock abbastanza lunga da allontanare una crisi fiscale.

Come spesso accade, però, ci siamo accontentati dell’uovo subito, anziché puntare alla gallina il giorno dopo.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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