Il petrolio a 90 dollari non è l’unica brutta notizia sul fronte energia

Il petrolio è schizzato a 90 dollari al barile, quotazione massima da dieci mesi a questa parte. E c'è un'altra brutta notizia.
1 anno fa
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Petrolio 90 dollari non unica brutta notizia
Petrolio 90 dollari non unica brutta notizia © Immagine di Investing.com sulla quotazione del Brent

Una doccia fredda è arrivata a fine estate dall’OPEC Plus. L’Arabia Saudita ha deciso di estendere di altri tre mesi e fino alla fine di quest’anno il taglio dell’offerta di petrolio di 1 milione di barili al giorno. Per quanto la decisione fosse nell’aria, la quotazione del Brent si è portata a 90 dollari, il livello più alto da dieci mesi a questa parte. Gli altri membri del cartello hanno concordato nei mesi scorsi di ridurre la loro produzione complessivamente di 1,66 milioni di barili al giorno fino a tutto il 2024.

E la Russia ridurrà di 300.000 barili al giorno le proprie esportazioni fino a dicembre. Per agosto, aveva annunciato un taglio volontario di 500.000 barili al giorno.

Dollaro su, impatto su inflazione

Non solo il petrolio rincara, ma anche il dollaro ci mette del suo. Il biglietto verde si rafforza di circa il 5% dai minimi toccati a luglio contro le principali valute mondiali. Il cambio euro-dollaro, in particolare, è passato nel frattempo da un apice di 1,1250 all’attuale 1,0740. Tutto ciò non fa che rendere ancora più care le importazioni di greggio.

Il mercato sta scontando il calo dell’offerta, mentre ad oggi non prevede un tonfo della domanda. Un bel problema per le banche centrali, che da un lato avrebbero la necessità di sostenere le economie in sofferenza e dall’altro non possono permettersi di sospendere l’aumento dei tassi di interesse. Se lo facessero, rischierebbero di ritrovarsi materie prime ancora più care e un’inflazione tendenzialmente in risalita.

Riserve strategiche USA minimi da 1983

Non è l’unica brutta notizia che arriva sul fronte energia. Le Riserve Strategiche di Petrolio negli Stati Uniti sono scese ai livelli minimi dal 1983 ad appena 347,16 milioni di barili. Considerata la domanda media giornaliera nel 2022, basterebbero a soddisfare consumi per appena 17 giorni. Tali riserve sono convogliate in un fondo governativo, che Washington utilizza per i casi di necessità.

A fine 2021, ammontavano a quasi 594 milioni di barili. L’amministrazione Biden ha venduto così qualcosa come 150 milioni di barili in diciotto mesi. Non solo non potrà continuare a farlo, ma prima o poi si troverà costretta ad avviare il programma di acquisti.

Il Dipartimento dell’Energia ha posticipato il piano per acquistare 6 milioni di barili di petrolio per quando le quotazioni saranno più basse. Il problema è che se oggi il governo si mettesse a rimpinguare le riserve, la domanda globale salirebbe e accrescerebbe la pressione sull’offerta già carente. Basterebbe forse il solo effetto psicologico per spingere i prezzi verso 100 dollari al barile. E tutto questo con la produzione negli Stati Uniti tornata quasi ai massimi storici toccati prima del Covid. Difficile immaginare che il contrasto all’OPEC possa avvenire puntando sulle maggiori estrazioni.

Su petrolio patto Brics contro Occidente

In altri tempi non lontani, la Casa Bianca avrebbe telefonato la famiglia reale saudita per cercare di ottenere un compromesso. Oggi, le due parti quasi neppure più si parlano. Anzi, Riad è appena entrata a far parte dei Brics, il blocco geopolitico ostile all’Occidente. La decisione di continuare a tagliare l’offerta, pur con quotazioni in aumento, sembra la conseguenza di questo clima avvelenato. I sauditi non si sentono più legati ad alcun patto con Washington e vogliono dimostrare all'(ex?) alleato chi comanda.

Neanche la Cina trova conveniente intervenire per convincere l’OPEC a cessare questa politica di sostegno ai prezzi. Insieme all’India sta approfittando delle tensioni tra Russia e Occidente per comprare petrolio dalla prima a forte sconto. Ne consegue che riesce a produrre a costi sostenibili e molto più competitivi di quelli a cui è costretta l’Europa. A voler essere maliziosi, dietro alle decisioni del cartello s’intravede una sorta di patto anti-occidentale teso a colpirne l’economia.

Una ritorsione sul terreno più congeniale per paesi come Russia, Arabia Saudita e alleati: le materie prime. Come per dire a Zio Sam che dei suoi capitali può farsene ben poco senza disporre degli altri input indispensabili alla produzione.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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