Una doccia fredda è arrivata a fine estate dall’OPEC Plus. L’Arabia Saudita ha deciso di estendere di altri tre mesi e fino alla fine di quest’anno il taglio dell’offerta di petrolio di 1 milione di barili al giorno. Per quanto la decisione fosse nell’aria, la quotazione del Brent si è portata a 90 dollari, il livello più alto da dieci mesi a questa parte. Gli altri membri del cartello hanno concordato nei mesi scorsi di ridurre la loro produzione complessivamente di 1,66 milioni di barili al giorno fino a tutto il 2024.
Dollaro su, impatto su inflazione
Non solo il petrolio rincara, ma anche il dollaro ci mette del suo. Il biglietto verde si rafforza di circa il 5% dai minimi toccati a luglio contro le principali valute mondiali. Il cambio euro-dollaro, in particolare, è passato nel frattempo da un apice di 1,1250 all’attuale 1,0740. Tutto ciò non fa che rendere ancora più care le importazioni di greggio.
Il mercato sta scontando il calo dell’offerta, mentre ad oggi non prevede un tonfo della domanda. Un bel problema per le banche centrali, che da un lato avrebbero la necessità di sostenere le economie in sofferenza e dall’altro non possono permettersi di sospendere l’aumento dei tassi di interesse. Se lo facessero, rischierebbero di ritrovarsi materie prime ancora più care e un’inflazione tendenzialmente in risalita.
Riserve strategiche USA minimi da 1983
Non è l’unica brutta notizia che arriva sul fronte energia. Le Riserve Strategiche di Petrolio negli Stati Uniti sono scese ai livelli minimi dal 1983 ad appena 347,16 milioni di barili. Considerata la domanda media giornaliera nel 2022, basterebbero a soddisfare consumi per appena 17 giorni. Tali riserve sono convogliate in un fondo governativo, che Washington utilizza per i casi di necessità.
Il Dipartimento dell’Energia ha posticipato il piano per acquistare 6 milioni di barili di petrolio per quando le quotazioni saranno più basse. Il problema è che se oggi il governo si mettesse a rimpinguare le riserve, la domanda globale salirebbe e accrescerebbe la pressione sull’offerta già carente. Basterebbe forse il solo effetto psicologico per spingere i prezzi verso 100 dollari al barile. E tutto questo con la produzione negli Stati Uniti tornata quasi ai massimi storici toccati prima del Covid. Difficile immaginare che il contrasto all’OPEC possa avvenire puntando sulle maggiori estrazioni.
Su petrolio patto Brics contro Occidente
In altri tempi non lontani, la Casa Bianca avrebbe telefonato la famiglia reale saudita per cercare di ottenere un compromesso. Oggi, le due parti quasi neppure più si parlano. Anzi, Riad è appena entrata a far parte dei Brics, il blocco geopolitico ostile all’Occidente. La decisione di continuare a tagliare l’offerta, pur con quotazioni in aumento, sembra la conseguenza di questo clima avvelenato. I sauditi non si sentono più legati ad alcun patto con Washington e vogliono dimostrare all'(ex?) alleato chi comanda.
Neanche la Cina trova conveniente intervenire per convincere l’OPEC a cessare questa politica di sostegno ai prezzi. Insieme all’India sta approfittando delle tensioni tra Russia e Occidente per comprare petrolio dalla prima a forte sconto. Ne consegue che riesce a produrre a costi sostenibili e molto più competitivi di quelli a cui è costretta l’Europa. A voler essere maliziosi, dietro alle decisioni del cartello s’intravede una sorta di patto anti-occidentale teso a colpirne l’economia.