Uno dei problemi che pesa di più sulla sostenibilità del sistema pensioni in Italia riguarda l’importo degli assegni. O meglio, la distorsione che ancora oggi deriva dal sistema di calcolo retributivo della rendita in vigore fino al secolo scorso e che ha portato a conseguenti riforme per arginarne gli effetti.
La più nota è quella del 2011 del governo Monti, entrata in vigore nel 2012, nota come riforma Fornero, che ha allungato l’età pensionabile per uomini e donne agganciandole alla speranza di vita.
Il sistema di calcolo contributivo delle pensioni
Ricordiamo che il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo delle pensioni è avvenuto col govenro Dini (legge n. 335/1995). Esso prevedeva fino a quegli anni un sistema di calcolo della pensione basato principalmente sull’importo medio degli ultimi 5 anni di retribuzione del lavoratore. Considerata l’età pensionabile, la longevità degli italiani e il montante contributivo, nella maggior parte dei casi questo sistema si è rivelato insostenibile.
Ne pagfhiamo tutti gli effetti ancor oggi. I pensionati percepivano e percepiscono tuttora rendite non commisurate coi contributi versati e lo Stato deve intervenire per coprire quello che manca. Una voragine, considerati i milioni di pensioni in pagamento, che pesa sui conti pubblici e sulla fiscalità generale.
Dal 1996, con la legge di bilancio, il sistema di calcolo retributivo è stato abolito e al suo posto è stato introdotto quello contributivo, più corretto e basato solo sui contributi versati dal lavoratore. Quindi ne deriva una pensione più bassa, ma più giusta. Ma attenzione, la riforma prevedeva una graduale entrata a regime. E questo è stato l’unico difetto che ancor oggi paghiamo e ci trasciniamo dietro.
Quando spariranno le pensioni retributive
Ma quando entrerà definitivamente a regime il sistema di calcolo contributivo delle pensioni? Ebbene, secondo le previsioni, questo avverrà fra 10-12 anni, quando non ci saranno più persone che hanno iniziato a lavorare prima del 1996. In buona sostanza, a partire dai nati negli anni 80. Fino ad allora pagheremo, anche se in forma sempre minore, col passare del tempo, parte delle pensioni calcolate con il sistema retributivo.
Già oggi il peso di una pensione liquidata con il sistema retributivo è solo di un terzo del montante contributivo per coloro che possono vantare almeno 40 anni di contributi. E ogni anno che passa, questa percentuale si riduce sempre di più. Quindi la differenza di calcolo fra pensioni retributive e contributive va scemando col tempo e costerà sempre meno per lo Stato intervenire a supporto degli assegni.
Pesano tuttavia le pensioni in pagamento e che negli ultimi periodi sono state oggetto di importanti rivalutazioni a causa dell’aumento dell’inflazione. Queste, liquidate in passato con il sistema retributivo puro, magari coi requisiti di anzianità a 57 anni, sono una vera e propria palla al piede per l’Inps. Senza considerare le migliaia di baby pensioni ancora esistenti.
L’arrivo dei baby boomers
Il problema più grosso sarà, però, l’uscita in massa dal lavoro dei baby boomers, cioè i nati fra gli anni 60 e 70. Un’ondata anomala di lavoratori frutto di un boom di nascite di quegli anni e che avranno diritto alla liquidaizone di una pensione in parte retributiva e in parte contributiva (regime misto). Chi è nato nel 1965, ad esempio, e ha inizitao a lvaorare nel 1985 avrà diritto a un assegno retributivo di almeno 10 anni. Il resto sarà contributivo.
Numericamnete si tratta di milioni di pensionati in più da mantenere e sostenere con un ritmo di almeno 350 mila all’anno che dovrebbe far salire la spesa pensionistica al 17% del Pil.
Riassumendo…
- Le pensioni retributive pesano sui conti dell’Inps in maniera preponderante.
- L’entrata a regime del sistema di calcolo contributivo è prevista per il 2033-2035.
- La pensione retributiva costa di più perché calcolata sulla base delle retribuzioni percepite.
- L’assegno contributivo è invece calcolato solo su quanto versato di contributi durante la carriera lavorativa.