Eh, niente. Ai tassisti non piace nemmeno la mini-riforma varata dal governo con il Dl Asset, che consente ai Comuni capoluogo di regione, sede di aeroporti o di Città Metropolitana di aumentare il numero delle licenze fino al 20% del totale. L’idea che possa esservi un minimo di concorrenza in più nel settore non può andare giù a una categoria abituata a vivere di sotterfugi. Pensate che ci sia un clima di accanimento nei loro riguardi? Per nulla. Duole ammettere che i tassisti rappresentino in Italia tutto ciò che non va.
Dichiarazioni fiscali ridicole, licenze record
Quest’ultima non è un’ipotesi calunniosa, bensì un dato di fatto che emerge dai numeri pubblicati dal Ministero di economia e finanze. Nel 2019, anno prima del Covid, in media i tassisti italiani hanno dichiarato 15.500 euro lordi, vale a dire 1.300 euro al mese. A Napoli si scendeva a 6.275 euro, mentre l’apice si toccava a Bologna con 20.300 euro. In pratica, questi poveri tassisti che ci fracassano l’udito ogni due e tre con i loro piagnistei, starebbero lavorando per noi utenti-cittadini gratis. Già, perché detraendo le spese per il mantenimento del mezzo, la benzina, qualche multa che ci scappa sempre durante l’anno e quant’altro, resterebbe loro qualche spicciolo per comprare un panino all’angolo di qualche vicolo malfamato.
Per loro fortuna, però, le cose pare che vadano un po’ meglio. Anzi, talmente meglio che il valore di mercato delle licenze in città come Milano arriva a 250.000 euro. In città più piccole, invece, ci si deve “accontentare” di 100-150.000 euro. Questi numeri confermano che qualcosa non quadra. Spenderesti mai una somma pari a 10-15 volte il reddito lordo annuo per lavorare? Nessuno lo farebbe, perché significherebbe trascorrere un’intera carriera lavorativa solo per ripagarsi la licenza.
Lobby potente di furbacchioni
Dunque, i tassisti effettuano sotto-dichiarazioni dei redditi a dir poco scandalose. Non è un mistero che il POS funzioni raramente a bordo delle loro auto, né che i clienti che vogliano pagare con carta siano trattati spesso in malo modo. Il vero mistero risiede nella ragione per cui questa categoria riscuota così tanta protezione in Parlamento, come se la lobby dei tassisti fosse in grado di decidere le sorti del potere politico mondiale.
Non tutti i tassisti sono disonesti ed evasori fiscali. Sparare nel mucchio è sempre sbagliato e svilisce chi svolge la professione con rispetto delle regole e delle persone. Così come non è fuori dal mondo che una categoria difenda i propri “privilegi”. Accade dappertutto e per qualsiasi attività economica, dal lavoratore metalmeccanico al notaio. L’anomalia insostenibile dei tassisti risiede nei numeri. Le medie non diranno l’intera verità, ma ci raccontano nel complesso una realtà molto malata. Si pretende di non pagare le tasse, di avere in mano una miniera d’oro data da licenze emesse gratuitamente dalla Pubblica Amministrazione e al contempo si osteggia l’ingresso di qualsivoglia concorrenza per impedire un calo dei guadagni.
Arroganza tassisti colpisce economia italiana
Il problema va oltre i tassisti in sé e riguarda il sistema Paese. Tariffe alte, servizi scadenti e carenti stanno colpendo l’economia italiana, limitando il boom del turismo post-Covid. Lo abbiamo notato in estate, con gli stranieri scioccati sia dalle tariffe praticate, sia dalla carenza di auto disponibili e dai tempi di attesa. E’ ora che la politica dica basta a questa farsa che va avanti da decenni.
Se i tassisti vinceranno anche quest’ultima battaglia per impedire una maggiore concorrenza, l’unica alternativa seria dello stato sarebbe di investire massicciamente sul trasporto pubblico locale, potenziando treni, autobus di linea e tram. In questo modo, la domanda di taxi nelle città scenderebbe strutturalmente. A quel punto, il potere negoziale della categoria svanirebbe come neve al sole di mezzogiorno. E’ ora di reagire all’arroganza.