La Scozia non rinuncia al sogno dell’indipendenza dal Regno Unito, almeno la parte che s’identifica nelle posizioni del Partito Nazionalista Scozzese (SNP) al potere sin dal 2007. Ed è per questo che intende indire un secondo referendum sul tema dopo la batosta accusata nel 2014, quando solamente il 45% degli elettori appoggiò l’idea secessionista. E per segnalare di essere fortemente intenzionato ad avviare le pratiche del divorzio da Londra, il First Minister Humza Yousafa ha lanciato nei giorni scorsi l’idea di emettere obbligazioni, al fine di finanziare progetti infrastrutturali locali, tra cui un piano caso.
Niente rating e scarsa autonomia fiscale
I kilt bond sono previsti da un accordo siglato nel 2015 tra l’allora governo Cameron ed Edimburgo. Possono essere emessi per un ammontare annuo di 450 milioni di sterline e fino ad un massimo di 3 miliardi. Tuttavia, ad oggi la Scozia non vi ha mai fatto ricorso. Essa si finanzia attingendo al National Loans Fund, un fondo britannico istituito a favore degli enti locali. Dei 3 miliardi di sterline spettanti, ne ha utilizzati il 75%. Dunque, avrebbe modo di spendere altri 750 milioni tra emissioni obbligazionarie in proprio o attingendo al fondo residuo.
Per quanto affascinante e rivoluzionaria possa sembrarci l’idea dei kilt bond associati all’indipendenza scozzese, sul piano strettamente legato agli investimenti si tratterebbe di una pessima idea. Almeno per il momento. Partiamo da un dato: la Scozia non ha alcun rating. Formalmente, quindi, nessuna agenzia di valutazione internazionale ha ad oggi espresso un giudizio sull’affidabilità creditizia di Edimburgo. E c’è una ragione per ciò: gli enti locali britannici non hanno la possibilità di emettere bond, ad eccezione parziale proprio della Scozia per quanto sopra detto.
Indipendenza Scozia grosso limite all’emissione
Il discorso vale anche per la Scozia. E qui sorge un interrogativo. Se emettesse i kilt bond, Londra fungerebbe da garante di ultima istanza? Visto che le emissioni sono riconosciute dallo stato nazionale, risponderemmo affermativamente. Tuttavia, se queste fossero la premessa per giungere all’indipendenza, perché mai il resto del Regno Unito dovrebbe garantire per il debito di una regione secessionista? Se così, il rischio di credito risulterebbe di gran lunga più elevato di quello percepito per i gilt. Questi hanno rating elevati: AA per S&P e Dbrs, Aa3 per Moody’s.
La Scozia, specie in modalità pro-indipendenza, difficilmente vanterebbe gli stessi giudizi lusinghieri. Ha alle spalle una storia fiscale molto negativa. Il disavanzo dei conti pubblici è arrivato sopra il 21% nel 2021 e ancora oggi si aggira intorno al 9% del PIL. Tra l’altro, i kilt bond sarebbero emessi in sterline o in un’altra valuta? Edimburgo valuterebbe un’emissione in euro, dato che ha segnalato apertamente di voler uscire dal Regno Unito per aderire all’Unione Europea. Ma a quel punto si ritroverebbe ad avere emesso un debito in una valuta straniera. E per quanto l’importo sarebbe limitato, non deporrebbe a favore della stabilità dei suoi conti pubblici.
Kilt bond costosi e a rischio flop
Infine, non dimentichiamo il rischio politico. Fino a pochi mesi fa, First Minister era Nicola Sturgeon, al potere dal 2014. La donna è stata arrestata per poche ore a seguito di un’indagine sull’uso dei fondi dell’SNP.