La riforma fiscale è urgente e il taglio della seconda aliquota Irpef non basta

Il taglio della seconda aliquota Irpef sarebbe solo l'avvio della riforma fiscale che ha in mente il governo Meloni, ormai urgenza nazionale.
1 anno fa
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Taglio Irpef per rilanciare i consumi
Taglio Irpef per rilanciare i consumi © Licenza Creative Commons

Ci saranno importanti novità per i contribuenti italiani a partire da gennaio prossimo. Oltre alla conferma del taglio del cuneo fiscale sui redditi fino a 35.000 euro lordi all’anno, il governo Meloni avvierà la riforma fiscale con il taglio della seconda aliquota Irpef. I beneficiari saranno i redditi sopra i 15.000 euro. Sullo scaglione compreso tra 15.001 e 28.000 euro sarà imposta un’aliquota del 23%, anziché del 25% come oggi. I redditi dai 28.000 euro insù verseranno al Fisco 260 euro in meno di Irpef all’anno.

Le aliquote Irpef scenderanno da quattro a tre:

  • 23% fino a 28.000 euro
  • 35% tra 28.001 e 50.000 euro
  • 43% sopra 50.000 euro

Verso aliquota Irpef unica come con nascita Regno d’Italia?

L’Irpef è la più importante fonte di gettito per le casse dello stato. Nel 2022 ha fatto introitare 205,8 miliardi di euro, a cui si sono sommati circa 18 miliardi tra addizionale regionale e comunale. Per quest’anno, le attese sono per un aumento a circa 235 miliardi su complessivi 624-625 miliardi di gettito tributario complessivo. Questo conferma quanto sia complicato il taglio delle aliquote Irpef, dato il forte impatto che ha sui conti pubblici.

L’Irpef esiste esattamente da mezzo secolo, avendo debuttato con la riforma fiscale del 1973. Quando nacque il Regno d’Italia nel 1861, fu introdotta l’imposta di ricchezza mobile, che suddivideva i redditi in perpetui (rendite da capitale e vitalizie), miste (da lavoro e perpetui) e temporanei (da lavoro). Tutti erano sottoposti ad un’aliquota unica (“flat tax”) dell’8%, ma in misura rispettivamente pari al 100%, al 75% e al 62,5% del dichiarato.

Minoranza di contribuenti paga per tutti

Le aliquote Irpef inizialmente furono ben 32 e diminuirono gradualmente nel corso degli anni Ottanta, arrivando a sette fino a tutti gli anni Novanta. Erano cinque fino al 2021, dall’anno scorso sono scese a quattro e, come detto, saranno tre dal 2024. Ogni volta che il loro numero è stato ridotto, si è acceso il solito dibattito italiano sulla necessità di mantenere l’imposizione fiscale progressiva come da Costituzione.

Solo un cieco, tuttavia, non riuscirebbe a vedere i numeri impietosi del nostro sistema impositivo.

Su 41,5 milioni di contribuenti che presentano una denuncia dei redditi, il 42,59% dichiara fino a 15.000 euro lordi all’anno e versa allo stato appena l’1,73% del gettito complessivo. Un altro 43,47% dichiara tra 15.000 e 35.000 euro e versa il 35,75% dell’imposta. Infine, appena il 13,94% dichiara redditi sopra 35.000 euro e partecipa al gettito per il 62,52%. Come potete notare da soli, la progressività in Italia esiste e pure troppo. Ci sono decine di milioni di contribuenti che pagano poco o nulla e una minoranza che paga per tutti.

Redditi medio-alti vessati dal Fisco

L’aspetto più antipatico che emerge da queste cifre è che, paradossalmente, gli italiani e i governi tendano a trattare e guardare malamente proprio i contribuenti che dichiarano redditi più alti, vessandoli ed escludendoli da ogni eventuale beneficio fiscale temporaneo o definitivo. Quando, invece, tra coloro che dichiarano redditi bassi, si nascondono tantissimi evasori fiscali. Il punto è che per fare quadrare i conti, bisogna limitare la platea dei beneficiari di ogni riforma fiscale che vada nel senso di alleggerire il carico sui contribuenti. E poiché sarebbe impopolarissimo per chiunque partire dalle fasce di reddito più alte, queste nei fatti non vedono quasi mai alcun sollievo.

Prendete la riforma fiscale in itinere. A fronte dei sopra citati 260 euro di beneficio massimo per i contribuenti con redditi pari o superiori ai 28.000 euro, coloro che dichiarano almeno 50.000 euro si vedranno tagliate le detrazioni Irpef per un importo forfetario esattamente di 260 euro. In altre parole, il beneficio verrà loro azzerato. L’urgenza di una riforma fiscale sta tutta qui. Non è spremendo i soliti noti che si ottiene un maggiore gettito, bensì ampliando la fascia di chi le tasse le paga, vuoi perché può uscire finalmente dal sommerso, vuoi per le migliorate opportunità di lavoro e d’investimento.

Serve riforma fiscale radicale

Il governo di centro-destra ambisce alla “flat tax” entro la legislatura. L’obiettivo non sembra molto realistico, a meno che la premier non si decida a ridurre l’entità abnorme della spesa pubblica. Un’unica aliquota Irpef è anatema per moltissimi giuristi, economisti, politici e semplici cittadini tanto innamorati dei principi astratti e poco interessati alle condizioni effettive del nostro sistema di tassazione. La progressività è oggi un criterio vuoto, che cela persino tanta regressività nel momento in cui intere categorie riescono a sfuggire al Fisco con sotto-dichiarazioni eclatanti come nel caso dei tassisti. Bisogna trovare il coraggio di varare una riforma fiscale che scardini il sistema e che leghi le mani ad uno stato sprecone, capace solo di attingere di anno in anno a risorse sempre più cospicue per alimentare sé stesso.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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