Mancano due giorni all’ultima riunione dell’anno per il board della Banca Centrale Europea (BCE). Il mercato è fermamente convinto che non ci sarà alcun aumento ulteriore dei tassi di interesse. Segnali espliciti in tal senso sono arrivati dallo stesso istituto e stavolta non soltanto dalle cosiddette “colombe”. Persino un “falco” come la tedesca Isabel Schnabel ha ammesso che i recenti dati sull’inflazione nell’Eurozona, scesa al 2,4% a novembre, giustificherebbero la conclusione della stretta monetaria.
Board BCE tra fine stretta e taglio tassi
I rendimenti dei titoli di stato sono precipitati nelle ultime sedute.
Da Francoforte è probabile che l’ultimo board BCE segnali cautela su questo fronte. L’obiettivo sarà convincere i mercati che la fine della stretta sui tassi non equivale all’avvio del loro taglio. Questo per non pregiudicare i successi sin qui riportati nella lotta all’inflazione. Ma settimana scorsa Schnabel ha aggiunto un dettaglio per la verità noto da tempo agli investitori: “in un momento non troppo lontano affronteremo il tema della fine anticipata del Pepp“.
Con Pepp flessibilità contro spread
Il Pepp è un programma monetario varato nel marzo del 2020 contro la pandemia e che è consistito in acquisti di bond sovrani e, molto limitatamente, societari. Essi sono stati condotti fino al marzo dello scorso anno. Da allora, tuttavia, la BCE si è impegnata a riacquistare tutti i bond in scadenza “almeno fino alla fine del 2024”. Ci sono pressioni per anticipare la fine di tali riacquisti. E se ci pensate, è logico che sia così. Mentre la BCE ha aumentato i tassi di interesse per ridurre la liquidità sui mercati e combattere l’inflazione, al contempo ha tenuto elevata tale liquidità attraverso i reinvestimenti con il Pepp.
Il mantenimento in vita di questo programma, anche dopo che sono stati azzerati i riacquisti con il Quantitative Easing (Qe), si deve ad una ragione specifica: consente alla BCE la sufficiente flessibilità per evitare una frammentazione monetaria nell’area. A differenza del Qe, in pratica, l’istituto non è tenuto ad acquistare bond in proporzione alle dimensioni economiche dei paesi. Dunque, se servisse contenere lo spread dell’Italia o altri, potrebbe concentrare i ri-acquisti sui BTp senza grosse remore.
A Francoforte c’è un problema di bilancio
Ora che la BCE ha certamente finito con l’aumento dei tassi, si può discutere se il primo taglio avverrà a marzo, aprile o qualche mese più tardi, ma la traiettoria è stata tracciata. Il punto è che il board BCE si troverà a disporre la fine anticipata dei riacquisti Pepp quando inizierà a tagliare i tassi. Inutile spiegare che il mercato andrebbe in confusione. Da un lato ci sarebbe una riduzione del costo del denaro, dall’altro una riduzione della liquidità, che a sua volta equivale a un aumento dei tassi. Ancora una volta, freno e acceleratore pigiati contemporaneamente.
Perché la BCE vuole chiudere definitivamente il Pepp? Il programma da 1.700 miliardi di euro si va a sommare agli oltre 3.000 miliardi di asset ancora posseduti con il Qe. Ne consegue che il bilancio si sia fortemente dilatato nell’ultimo decennio. Le esposizioni verso i bond sono diventate elevatissime e con esse il rischio di perdere autonomia decisionale e margini di manovra futuri. Serve dimagrire tale bilancio prima che arrivi una nuova crisi. Tuttavia, appare obiettivamente un compito difficile. Sarebbe dovuto avvenire durante la fase rialzista dei tassi, non quando questi saranno tagliati.
Rischio incidente all’ultimo board BCE
In fondo, se il board BCE nei prossimi mesi deciderà di tagliare i tassi, ciò avverrà non solo per il rientro dell’inflazione nell’Eurozona verso il target del 2%, bensì anche per il deterioramento economico in corso. E voi pensate che Francoforte possa permettersi di destabilizzare i mercati proprio mentre cerca di rianimare l’economia? Ecco perché su questo punto dopodomani si rischia l’incidente, sempre in agguato quando a parlare è Christine Lagarde. Il governatore sarà tempestato di domande sul Pepp e dovrà risultare sufficientemente convincente per non confondere il mercato obbligazionario e quello stesso azionario. Il ricordo del “non siamo qui a chiudere gli spread” è ancora vivo.