Squadra che perde, va in ritiro. Quante volte abbiamo assistito a questa strategia tra le società di calcio quando incassano diverse sconfitte di fila e c’è la sensazione che serva schiarirsi le idee! Il ritiro a stagione in corso per una squadra di calcio è a metà tra una forma di punizione e la volontà di fare il punto su come risalire la china. Il Partito Democratico (PD) di Elly Schlein sarà in ritiro il prossimo 18-19 gennaio. Per l’esattezza a Gubbio, nella francescana Umbria, ma non in una masseria o un convento, bensì in un hotel di lusso con tanto di sauna, massaggi e bagno turco.
Svolta a sinistra del PD senza risultati
Sono passati circa dieci mesi e mezzo da quando Schlein è segretaria del PD. Una vittoria a sorpresa la sua alle primarie, sconfessando i risultati dei circoli (iscritti) a favore di Stefano Bonaccini. Ma ai gazebo ha vinto la voglia di mandare a quel paese la classe dirigente del Nazareno con una svolta a sinistra dopo anni di centrismo e moderatismo esasperati, dal punto di vista della base storica.
E Schlein la svolta a sinistra non l’ha solo predicata, ma anche imposta, pur tra mille difficoltà. Anzitutto, nel linguaggio. Il PD non parla più di imprese, di partite iva, di rigore fiscale, figuriamoci di finanza. Adesso, le parole d’ordine sono salario minimo, diritti sociali, eguaglianza, solidarietà, immigrazione, diritti Lgbt e, naturalmente, antifascismo. Al macero gli anni del renzismo, detestati dalla segretaria come un periodo buio per il partito che guida. Eppure fu allora che il PD ottenne un insperato 40,8%, che oltre ad essere il suo massimo storico, segnò il risultato più alto da svariati decenni per qualsiasi partito italiano. Bisogna tornare ai tempi d’oro della Dc per trovarne uno migliore.
Schlein lotta per la sopravvivenza politica
Due elezioni europee dopo, Schlein lotta per conquistare la metà di quella percentuale. La soglia al di sotto della quale sarebbe percepita la sconfitta si attesterebbe al 20%. Sopra, sarebbe venduto come un successo. I sondaggi per il momento segnalano il PD intorno al 19%. Pur un po’ meglio rispetto agli abissi a cui erano crollati i consensi dopo la sconfitta alle elezioni politiche del 2022, tutti ammettono oramai che la svolta a sinistra di Schlein non abbia pagato.
E qui viene quasi da uscire fuori dal portone del Nazareno e urlare in faccia ai militanti del partito: “si può sapere cosa caspita volete?”. Il centrismo, no; la sinistra, neppure. Cosa non funziona nel nuovo corso dell’italo-svizzera-americana? Il primo problema è la scarsa credibilità. Non tanto della segretaria, che fino a un annetto fa neppure era iscritta al PD, quanto del marchio che rappresenta. Inutile blastare il governo sui tagli alla sanità, veri o presunti, quando furono proprio i governi di centro-sinistra ad avere colpito con l’accetta il budget per la salute degli italiani. Le regioni amministrate dal PD, vedi il Lazio di Nicola Zingaretti, facevano a gara a chi chiudeva i piccoli ospedali, quelli che adesso Schlein sostiene di voler difendere.
PD non credibile dopo gli anni al governo
Ed è ancora più inutile sbraitare sulla questione salariale, che esisteva durante i lunghi anni del PD al governo. Il salario minimo, spacciato adesso come una misura così urgente che quasi servirebbe vararlo per decreto legge, non solo non fu varato dal PD quando poteva e aveva i premier a Palazzo Chigi, anzi il partito fece di tutto per impedirne una discussione in Parlamento quando a volerlo erano i neo-alleati del Movimento 5 Stelle. C’era il terrore tra i dem di essere percepiti quelli delle origini: comunisti!
In subordine a quanto detto, esiste una seconda ragione per cui la svolta a sinistra di Schlein non porta risultati.
La concorrenza “a sinistra” di Conte
La svolta a sinistra di Schlein avrebbe successo solo a detrimento proprio del Movimento 5 Stelle. Non sta avvenendo, perché Giuseppe Conte viene ritenuto un tantino più credibile dei piddini. E’ stato colui che ha varato il reddito di cittadinanza, avversatissimo ai tempi proprio dal PD di Zingaretti, forse la misura più di sinistra che vi sia stata nella Seconda Repubblica. Il suo fu anche il governo del Decreto Dignità, che irrigidì il mercato del lavoro, in parte smantellando riforme del passato come il Jobs Act di renziana memoria. E Conte, contrariamente a Schlein, non ha il problema di dimostrarsi pro-Nato. Ciò gli consente di spingersi oltre su temi come la guerra russo-ucraina e israelo-palestinese.
Più che un ritiro a Gubbio, a Schlein servirebbe un esorcismo su Conte. Perché più ella parla un linguaggio di sinistra e più l’ex premier la supera senza doversi giustificare al suo interno. La segretaria, invece, ha il grosso limite di dover dare conto alla corrente centrista del PD, che esiste e deve essere tenuta in considerazione, visto che è fondatrice del partito. Senza di essa, l’aggancio all’establishment nazionale ed europeo, che tanta fortuna ha portato ai dirigenti e molto meno all’Italia, andrebbe a farsi benedire.
Sinistra molto chic e poco radical
Infine, questa non è una fase storica favorevole alla sinistra in tutto l’Occidente. Per molte ragioni. La principale è che forse il mondo socialista ha perso il contatto con la realtà e ai diritti economici preferisce i diritti sociali, più facili da vendere senza disturbare i detentori dei capitali. Pur di governare senza allarmare la grande industria e la finanza, la sinistra ha venduto l’anima. Meno battaglie a difesa dei lavoratori, più su gay e immigrati con l’immancabile ecologismo un tanto al chilo. E poiché proprio le fasce sociali più deboli sono esposte alla concorrenza della manodopera a basso costo degli immigrati e ai costi della transizione energetica, l’elettorato che vota a sinistra si restringe.