Nella Nota di aggiornamento Documento di economia e finanze c’era scritto e adesso il governo Meloni intende passare dalle parole ai fatti. Le privatizzazioni di alcuni asset statali dovranno far introitare 20 miliardi di euro in tre anni. Serve certamente a fare cassa, sebbene si tratti di appena l’1% scarso del PIL in un triennio. Il vero obiettivo consisterebbe nel lanciare un messaggio positivo ai mercati, attirando capitali privati freschi, anche dall’estero. E ieri sono arrivate due indiscrezioni importanti su questo capitolo.
Privatizzazione al via con Rai Way?
Sempre ieri il Consiglio di amministrazione della Rai ha approvato “a larga maggioranza e senza voti contrari”, stando al ministro per il Made in Italy, Adolfo Urso, il nuovo contratto di servizio per la TV di stato. Serviranno risorse per 225 milioni da destinare alla transizione digitale e ambientale, nonché al miglioramento della qualità dell’informazione con accento particolare alle filiere del Made in Italy. Secondo indiscrezioni, almeno parte di tali risorse saranno trovate vendendo una quota di Rai Way.
Ray Way è la società controllata dal Gruppo Rai, che si occupa della gestione delle torri di trasmissione. Nel 2014 fu già parzialmente privatizzata dal governo Renzi, che la quotò in borsa vendendo al mercato il 35%. Il restante 65% del capitale è rimasto in capo alla TV pubblica. Ieri, alla notizia le azioni sono precipitate del 4,4%. La società capitalizza 1,32 miliardi e si vocifera che lo stato venderebbe il 15%, restando in possesso di una quota di controllo. Ai prezzi di borsa attuali, incasserebbe sui 200 milioni.
Rai Way tiene a galla i bilanci della TV di stato
Su Rai Way non sono mai mancate le polemiche in relazione alle privatizzazioni.
Altro aspetto da considerare per il capitolo privatizzazioni riguarda la scelta tra uovo oggi o gallina domani. Rai Way distribuì lo scorso anno 73,7 milioni di dividendi, di cui 47,9 andarono a beneficio della controllante Rai. Una boccata di ossigeno importante per una società che a stento riesce a chiudere il bilancio in pareggio o quasi. Una quota di capitale più bassa implicherebbe minori dividendi futuri, ossia minori entrate e maggiore squilibrio finanziario.
Maxi-dividendo da Eni
Quanto ad Eni, il dividendo complessivo per il 2024 è stato fissato a 94 centesimi distribuiti in quattro tranche. Per lo stato italiano, direttamente e indirettamente, si tratterà di incassare quasi 1,03 miliardi. Siamo allo 0,05% del PIL. Certo, c’è da dire che la maxi-cedola è legata ai profitti straordinariamente elevati maturati a seguito del boom dei prezzi per l’energia. Lo stato detiene nella compagnia una quota del 4,667% e Cassa depositi e prestiti un altro 27,731%. In totale, l’azionista pubblica è al 32,398%.
Entro aprile Eni dovrà dare seguito al piano di buyback, ossia relativo al riacquisto di 275 milioni di azioni proprie, oltre l’8% del capitale attuale. Ciò consentirà alla quota dello stato di salire di quasi il 3%. Pertanto, la cessione ipotizzata sul mercato del 4% non ridurrebbe granché la sua presenza nel capitale, che resterebbe sopra il 31%. In borsa il Cane a sei zampe capitalizza sui 50 miliardi e lo stato incasserebbe così intorno ai 2 miliardi, lo 0,1% del PIL.
Altre privatizzazioni in vista
Alla conferenza stampa del 4 gennaio scorso, la premier Giorgia Meloni ha dichiarato che le privatizzazioni riguarderanno gli asset statali per cui la presenza dello stato non serve. Al contrario, laddove essa si necessita, lo stato farà ancora di più la sua parte. E proprio in questi giorni avanza sempre più concretamente l’ipotesi di una nazionalizzazione temporanea dell’ex Ilva, dopo il disaccordo con il socio privato ArcelorMittal sull’aumento di capitale necessario per iniettare risorse fresche in azienda. Dovrebbe, invece, essere ceduta del tutto Monte Paschi di Siena dopo il 25% già venduto a novembre per 920 milioni. E la vendita di Ita a Lufthansa sarebbe pronta se non fosse per i bastoni tra le ruote frapposti dai commissari europei.