La notizia di questi giorni non è proprio un fulmine a ciel sereno, perché da tempo si speculava su una simile mossa. Il principe saudita Mohammed bin Salman ha affidato alle banche Goldman Sachs e Citi il compito di occuparsi della vendita di un secondo pacchetto di azioni Aramco, la compagnia petrolifera statale, con l’obiettivo di incassare una cifra fino a 80 miliardi di rial o circa 20 miliardi di dollari. A fine gennaio, le indiscrezioni ipotizzavano una vendita fino a 10 miliardi.
IPO nel 2019 con incasso record
Aramco sta per Arabian American Oil Company, società estrattiva con una produzione giornaliera potenziale di 12,5 milioni di barili. Al momento, estrae meno di 9 milioni di barili al giorno per effetto del taglio dell’offerta deciso dalla stessa Arabia Saudita in sede OPEC, al fine di tenere le quotazioni internazionali elevate. E’ un’entità che nel 2022 ha maturato un utile netto record di 161,1 miliardi di dollari. Una gallina dalle uova d’oro che in borsa capitalizza circa 2.000 miliardi di dollari, tra i valori più alti al mondo per una società quotata.
L’IPO risale al dicembre del 2019. Allora, il principe saudita volle cedere sul mercato una quota complessiva dell’1,8%. Incassò 29,4 miliardi, la cifra più alta di sempre al mondo per una quotazione in borsa e rimasta imbattuta. In pratica, lo stato continua a possedere il 98% e passa del capitale, di cui il 90% direttamente e un altro 8% tramite il fondo sovrano Public Investment Fund.
Obiettivo: diversificare l’economia saudita
Allora come adesso, l’intenzione di Mohammed bin Salman consiste nell’ottenere fondi da destinare alla diversificazione dell’economia saudita, ancora troppo ancorata al petrolio. Per questo nel 2016 svelò un cronoprogramma di minuziose e numerose riforme, noto come Vision 2030. Tanto per farvi un esempio, alle donne è consentito guidare sin dal 2018 proprio per incoraggiare l’occupazione femminile e potenziare lo sviluppo del settore privato.
A conti fatti, un incasso di 20 miliardi arriverebbe attraverso la vendita di azioni Aramco per un altro 1% del capitale. Ciò farebbe scendere la quota in mano allo stato al 97%. Nei fatti, i capitali privati resterebbero fortemente minoritari. Un successo dell’operazione verrebbe visto molto positivamente nel regno nell’ottica di attirare investitori stranieri. E a sua volta offrirebbe sostegno alla diversificazione economica, che il principe saudita vuole raggiungere anche attraverso progetti avveniristici come la costruzione di Neom, una città lineare nel deserto alimentata solamente da energie rinnovabili e paradiso finanziario per residenti provenienti da tutto il mondo.
Azioni Aramco, vendita tra tensioni geopolitiche
La vendita di azioni Aramco avviene in un contesto geopolitico molto complicato. Tensioni nel Medio Oriente a parte, Riad è in rotta di collisione con gli Stati Uniti sulla sua decisione di tenere bassa la produzione di petrolio OPEC. Per questo l’esito dell’operazione appare tutt’altro che scontata. I capitali provenienti dalla sfera occidentale potrebbero restare alla finestra. I nuovi alleati del regno – Cina e Russia in primis – non sembrano nelle condizioni di poterli rimpiazzare del tutto.
D’altra parte, se il principe saudita ha così deciso, evidentemente si aspetta che questo sia il momento migliore per procedere alla cessione di azioni Aramco, vale a dire che le quotazioni del petrolio di qui in avanti non dovrebbero salire, se non eventualmente in misura marginale. In un certo senso, ciò rappresenterebbe un segnale “bearish” per il mercato del greggio.