Povertà in calo senza il reddito di cittadinanza: fine del piagnisteo, rimbocchiamoci le maniche

La fine del reddito di cittadinanza ha coinciso con un calo del tasso di povertà in Italia e la riduzione delle diseguaglianze.
9 mesi fa
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Reddito di cittadinanza, lo stop riduce la povertà e le diseguaglianze
Reddito di cittadinanza, lo stop riduce la povertà e le diseguaglianze © Licenza Creative Commons

Brutte notizie per l’Italia del piagnisteo. Se c’è un settore in cui il nostro Paese è diventato da molti anni imbattibile, è quello della retorica vuota e quasi sempre sconnessa dalla realtà. A leggere i giornali, sembra che milioni di famiglie italiane siano cadute nel baratro da quando il governo di Giorgia Meloni ha cancellato il reddito di cittadinanza, rimpiazzandolo nella stragrande maggioranza dei casi con l’Assegno d’inclusione. Di rischio povertà si parla da mattina a sera nei talk show, gli stessi che non più tardi di cinque anni fa condannavano senza appello il sussidio, allora reo di essere stato introdotto dal governo sbagliato.

Povertà e disuguaglianza in calo

Ma i numeri hanno sempre la testa dura. E l’Istat ha smentito l’altro ieri questa narrazione infondata. Ha trovato che nel 2023 il rischio povertà sia sceso dal 20% al 18,8%. E l’indice di Gini, che misura il grado di disuguaglianza, si è leggermente contratto dal 31,9% a 31,7%. Non ci sono state variazioni percentuali eclatanti, ma sufficienti a smentire la retorica di cui dicevamo: la povertà in Italia non solo non sta salendo, ma sta scendendo contestualmente all’abolizione del reddito di cittadinanza.

Cresce il lavoro stabile

L’insopportabile “gne gne” di chi ritiene che oltre il sussidio non vi sia vita, adesso non ha alcuna base statistica sulla quale confidare. Cos’è accaduto di preciso? L’economia italiana, pur in deciso rallentamento rispetto al rimbalzo del biennio 2021-2022, continua a riprendersi dalla pandemia. Sta, soprattutto, salendo l’occupazione sia in termini percentuali che assoluti. Questo vuol dire che c’è molta più gente che lavora, mai così tanta nella storia d’Italia. Nel 2023, i posti di lavoro creati sono stati 490.000, parenti stretti del mezzo milione.

A gennaio di quest’anno, si è registrato un calo mensile degli occupati nell’ordine delle 34.000 unità. In ogni caso, l’occupazione resta in crescita su base annua.

E non perché siano stati creati posti di lavoro di scarsa qualità – altra narrazione retorica sganciata dai dati – in quanto si è registrato un boom di 373.000 posti a tempo indeterminato, un aumento di 22.000 lavoratori autonomi e un calo di 33.000 posti a tempo determinato.

Piena occupazione lontana, ma giusta direzione

Sta andando all’opposto di quanto dicano nei salotti televisivi e nelle piazze i professionisti del pessimismo cosmico. La povertà in Italia è in discesa, perché ci sono più posti di lavoro stabili in giro. Ancora non a sufficienza, specie al Sud, per tendere alla piena occupazione. E continua ad esservi un problema salariale, come dimostrano tutti i dati statistici nazionali e internazionali. Tuttavia, le cose stanno andando verso la giusta direzione e con la cancellazione del reddito di cittadinanza.

Senza reddito di cittadinanza solo gli occupabili

Non è vero che senza il sussidio milioni di persone siano finite a rovistare nei cassonetti dell’immondizia. E’ il racconto che ne fa chi non conosce la società italiana e magari pensa che sotto Roma non esista alcuna capacità di sopravvivere senza la paghetta di stato. Per prima cosa, il reddito di cittadinanza, pur a condizioni diverse e con altra denominazione, è stato mantenuto dalle fasce effettivamente più bisognose della popolazione assistita: over 60, invalidi, soggetti con minori a carico. Gli altri sono occupabili e non perché lo afferma il governo, ma secondo il buon senso: se sei relativamente giovane, in buona salute e senza minorenni a cui pensare, puoi andare a lavorare, magari spostandoti dalla zona in cui risiedi.

A questa affermazione si ribatte con un’obiezione: non si è occupabili senza una formazione adeguata. E i numeri dimostrano che i percettori del vecchio reddito di cittadinanza sono perlopiù in possesso di un basso titolo di studio o non ne hanno uno.

Vero, tant’è che il governo ha provveduto a erogare corsi di formazione per dodici mesi e che consentono a chi li frequenta di incassare 350 euro al mese. Insomma, nessuno è stato abbandonato per strada. Altra questione se questi corsi funzionino, se siano stati attivati tempestivamente e se indirizzeranno al meglio nel mondo del lavoro.

Reddito di cittadinanza e lotta alla povertà non combaciano

Ad ogni modo, l’equazione tra reddito di cittadinanza e lotta alla povertà e alla disuguaglianza sembra sconfessata definitivamente. L’Istat ci segnala che è il lavoro a ridurre le differenze tra chi sta male e il resto della società. Ed è sempre il lavoro l’unica via d’uscita dalla povertà. Un colpo durissimo a chi ha fatto e continua a fare politica promettendo “panem et circenses”, anziché una soluzione strutturale e dignitosa ai problemi di milioni di famiglie. Ma poiché la politica italiana è slegata dai fatti, siamo convinti che lo “gne gne” proseguirà come nulla fosse.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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