Il campo largo di Schlein e Conte perde il centro, l’alleanza si rintana a sinistra 

Il "campo largo" di Elly Schlein e Giuseppe Conte espelle il centro e si rintana a sinistra, ma perdendo praticamente ovunque.
8 mesi fa
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Il campo largo di Schlein e Conte non è largo
Il campo largo di Schlein e Conte non è largo © Licenza Creative Commons

Aiuto, mi si è ristretto il campo largo! Anzi, il campo non è mai stato effettivamente largo, se la matematica ha ancora un suo perché. La Sardegna da presunto e sperato “effetto” si è palesata per quello che è: un’eccezione. Ad oggi, l’alleanza tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle non ha funzionato da nessuna parte e a nessun livello, tranne che nell’isola. E qui Elly Schlein e Giuseppe Conte devono ringraziare Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che in un impeto eutanasico hanno fatto di tutto per perdere le elezioni regionali.

Il campo largo lo ha costruito il centro-destra

L’Abruzzo non ha soltanto spento i sogni di riscossa del campo largo, ma ha fornito spunti allarmanti alla coalizione giallo-rossa. Il governatore uscente Marco Marsilio ha riconfermato sostanzialmente i voti della coalizione del settembre 2022, aggiungendovi il 10% di chi allora votò Movimento 5 Stelle, il 15% di Azione e i due terzi di +Europa. In pratica, il campo largo ha perso il centro e, di conseguenza, le elezioni.

Moderati in fuga da Schlein e Conte

Il centro-destra o destra-centro, come spregiativamente qualcuno definisce la coalizione al governo nazionale, al contrario vede rafforzata la gamba centrista. I voti di Noi Moderati quadruplicano al 2,7% e c’è stato il boom di Forza Italia al 13,4%. La Lega si è fermata al 7,6%, sotto l’8,3% delle politiche. Ora, l’Abruzzo non può diventare il “benchmark” del mercato elettorale nazionale, ma alcuni segnali li invia alla classe politica. E due sono allarmanti per la coppia Schlein-Conte: l’elettorato moderato è in fuga dai due e il campo largo fa malissimo ai pentastellati.

Il Movimento 5 Stelle ha perso i due terzi dei voti delle politiche in Abruzzo, scendendo dal 18,4% al 7%. Anche alle scorse regionali del 2019 era andato meglio con il 9,4%. E allora stava al governo con la Lega. Sebbene vada tipicamente male alle elezioni amministrative, il combinato con l’eccezione sarda ci dice quanto segue: il popolo “grillino” non gradisce l’alleanza con il PD e la digerisce al massimo quando serve a far eleggere un proprio candidato.

Centristi sul banco degli imputati a sinistraAlleanza con Renzi-Calenda sul banco degli imputati

I vicinissimi all’ex premier ritengono che la sconfitta abruzzese sia dovuta all’ingresso dei centristi nel campo largo. L’ex ministro Danilo Toninelli non pensa sia credibile allearsi con chi a livello nazionale attacca quotidianamente il Movimento. C’è un fondo di verità senza dubbio in questa affermazione. Il punto è capire se il campo debba essere così largo da comprendere forze anche apertamente ostili a una delle sue due principali gambe. Queste non sembrano beneficiare dell’ambiguità nel destreggiarsi tra maggioranza e grosso dell’opposizione. Restano inchiodate alle stesse percentuali delle politiche e non incidono né sul dibattito politico, né sulle vittorie locali.

In effetti, la Sardegna ha visto prevalere il campo largo sul centro-destra senza il sostegno dei centristi. Per l’occasione si erano schierati a favore di Renato Soru, ex governatore appoggiato persino da Rifondazione Comunista. Dunque, Schlein e Conte dovrebbero fare a meno del centro? Nei fatti lo hanno espunto dai loro programmi. Le parole d’ordine del nuovo PD sono all’insegna della virata a sinistra. Più temi sociali e identitari, con una spruzzata onnipresente di diritti civili dappertutto. Salario minimo, difesa del reddito di cittadinanza, pace, ambiente, immigrati, anti-fascismo, parità di genere, lotta alle disuguaglianze, diritti Lgbt, ecc.

Movimento 5 Stelle forza non progressistaMovimento 5 Stelle non è forza progressista

Ma per dirla con le parole di Fausto Bertinotti, ex presidente della Camera (2006-2008) e già leader comunista, non ci sarebbe ragione per un cittadino che si astiene di andare a votare per il campo largo. Lo slogan “uniti si vince”, spiega, sottintende non una vittoria delle forze popolari come nel passato, bensì di chi pretende di guidarle senza che la prospettiva del vissuto quotidiano delle persone comuni cambi.

L’alleanza tra Schlein e Conte si trova tra l’incudine e il martello: troppo debole sui temi di sinistra per ringalluzzire il proprio elettorato di riferimento, ma troppo rintanata a sinistra per poter includere le forze di centro.

A questo paradosso se ne somma un altro: tutti parliamo di Movimento 5 Stelle come se fosse una forza progressista. Non è mai stato così. I suoi consensi gli derivano da misure popolari e assistenziali come il reddito di cittadinanza, nonché dalla ricerca di alternative alla classe politica tradizionale. Ma fondamentalmente gli elettori “grillini” sono a-ideologici e su temi come Europa, guerra ed economia hanno visioni persino contrapposte a quelle degli “alleati” piddini. Rifiutano l’austerità fiscale perseguita da Bruxelles, detestano perlopiù l’Unione Europea, vorrebbero più stato, più assistenza sociale, più redistribuzione della ricchezza, più tasse sui redditi alti, più spesa pubblica, più sicurezza, disimpegno dalla Nato, una spesa militare più bassa, ecc.

Campo largo con il centro o più a sinistra

E il PD? Oscilla tra il neo-progressismo di Schlein e la linea istituzionalista che ha preceduto l’attuale segreteria negli anni passati. Questa ambiguità, frutto di resistenze interne guidate da esponenti di peso come Stefano Bonaccini, Graziano Delrio e Lorenzo Guerini, permette ancora al Nazareno di trattenere voti altrimenti in libera uscita verso il centro. Il campo largo, però, non vince perché non convince. O trattiene questo centrino residuale o se ne sbarazza definitivamente. In entrambi i casi, rischia di diventare ancora più stretto. Ma senza una visione coerente della società, inutile fare esperimenti locali a fasi alterne per darsi un’immagine meno perdente a livello nazionale. Manca un’unità di intenti tra i leader, perché non c’è un filo conduttore che li unisce al di là della voglia di vincere. E la narrazione non può che risultare disancorata dai fatti, come il “vento che è cambiato” con la Sardegna.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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