Un trimestre d’oro, in tutti i sensi. Il prezzo del metallo giallo ha toccato nuovi record nell’ultima seduta di marzo, raggiungendo i 2.254,80 dollari per un’oncia. In grammi, fanno 72,50 dollari. La crescita rispetto all’inizio dell’anno è stata superiore all’8%. Un risultato straordinario, frutto delle aspettative del mercato riguardo al taglio dei tassi di interesse negli Stati Uniti e in Europa. E che va a beneficio delle riserve auree, come vi dimostreremo con dati alla mano.
Riserve auree italiane terze al mondo
L’oro è un bene rifugio (“safe asset“), cioè tende ad apprezzarsi quando c’è crisi o instabilità dei prezzi.
Nel 1999, con l’ingresso dell’Italia nell’Eurozona, Palazzo Koch conferì alla BCE 141 tonnellate. Quelle rimaste di sua proprietà risultano custodite per oltre la metà all’estero. Per l’esattezza, il 43,3% nei forzieri di Fort Knox degli Stati Uniti, il 5,7% a Londra e il 6,1% in Svizzera. Perché lontano da casa? Per ragioni di sicurezza. All’indomani della Seconda Guerra Mondiale, Roma e altre capitali europee temettero possibili conflitti con il blocco degli stati comunisti dell’Est Europa. Per mettere in salvo le loro riserve auree, decisero di collocarle in gran parte all’infuori del continente.
A cosa servono i lingotti nei forzieri
A che cosa servono, anzitutto? In effetti, molti se lo chiedono tra i comuni cittadini senza darsi una vera risposta.
Pur vero, le riserve auree continuano a rappresentare una forma implicita di garanzia, non solo e forse non tanto per la moneta, perlomeno nell’Eurozona. L’Italia ha un debito pubblico superiore al 137% del suo Pil. Significa che possiede passività finanziarie per un ammontare superiore alla capacità annuale di creare ricchezza. I mercati scrutano le garanzie per il caso estremo di crisi fiscale, un po’ come una banca nel prestare denaro a un cliente già molto esposto. Non è scritto da nessuna parte che i creditori metterebbero mai le mani sull’oro di Bankitalia, ma questi offre pur sempre un minimo conforto teorico.
Oro Bankitalia: +16 miliardi di euro in 3 mesi
Alla fine dello scorso anno, le riserve auree italiane valevano 147,2 miliardi di euro. Esse corrispondevano al 7,1% del Pil e al 5,1% del debito pubblico. In questi primi tre mesi dell’anno, come abbiamo scritto in apertura dell’articolo, il prezzo del metallo è schizzato (in dollari) di oltre l’8%. L’altra buona notizia è che in euro la crescita è risultata persino superiore. In effetti, il cambio euro-dollaro è nel frattempo sceso, cioè il biglietto verde vale di più contro la moneta unica rispetto all’inizio di gennaio.
Ed ecco il nuovo dato a fine marzo: riserve auree di Bankitalia salite a un valore di mercato di 163,2 miliardi, esattamente +16 miliardi rispetto a tre mesi prima. Il guadagno è chiaramente virtuale, visto che il governatore Fabio Panetta non ha alcuna intenzione di vendere un solo grammo dei lingotti custoditi in Via Nazionale. Però, sul piano teorico ogni residente nel Bel Paese ha aumentato la propria ricchezza di oltre 270 euro, vale a dire al ritmo di 90 euro al mese. Non saranno cifre pazzesche, specie rispetto all’incremento medio del debito che viaggia alla cifra impressionante di 7-8 miliardi in media al mese. Tuttavia, è pur sempre un dato positivo.
Riserve auree raddoppiate in valore in poco più di 5 anni
Pensate che le stesse riserve auree valevano appena 26,5 miliardi una ventina di anni fa. Bankitalia, cioè tutti noi, abbiamo guadagnato tanto grazie alla corsa dell’oro sui mercati internazionali. Poiché il futuro è sempre un’incognita, dovessimo tornare a un nuovo “gold standard” e/o alle monete nazionali, perlomeno partiremmo da basi ben più solide di altri paesi e rispetto anche a soli pochi anni fa. Senza teorizzare il peggio, ci basta sapere che al nostro attivo vantiamo un valore degli asset più che raddoppiato in poco più di cinque anni.