La riforma delle pensioni rappresenta certamente una delle sfide più complesse per il nuovo esecutivo. Le difficoltà affrontate dall’attuale governo nell’adeguare il sistema previdenziale italiano sono le stesse incontrate dai precedenti esecutivi. Tuttavia, l’attuale differenza risiede nella presenza di partiti politici per cui la riforma delle pensioni è un punto focale. Di conseguenza, le probabilità che questa riforma venga effettivamente realizzata sono leggermente superiori rispetto al passato. R
esta da vedere, però, quali misure sarà in grado di introdurre il governo Meloni nel prossimo futuro, dato che ogni riforma richiede necessariamente l’implementazione di nuove politiche a favore del pensionamento dei lavoratori.
Riforma delle pensioni, ecco le ipotesi più popolari e come il governo potrebbe attuarle
Attualmente, la situazione è chiaramente delineata. Non è possibile aumentare indiscriminatamente i conti pubblici e la spesa previdenziale come vorrebbero alcuni lavoratori. È quindi probabile che, entro il 2025 o la fine della legislatura, il governo intervenga sulla previdenza introducendo misure di pensionamento anticipato, non esenti da controindicazioni. Saranno necessarie limitazioni e vincoli per garantire la sostenibilità di tali misure. Oggi analizzeremo alcune delle possibili nuove politiche previdenziali che potrebbero essere attuate, mostrando sia le versioni ideali sia quelle più realisticamente attuabili.
La quota 41 per tutti, si fa o no? Ecco le opzioni
La “quota 41 per tutti” rimane la principale misura previdenziale su cui molti insistono per riformare il sistema. Questa iniziativa, sostenuta a lungo sia dalla Lega di Matteo Salvini sia dai sindacati, permetterebbe a tutti i lavoratori, indipendentemente da genere, professione, o condizioni di salute e familiari, di andare in pensione, rimuovendo le restrizioni attuali che limitano alcune misure esclusivamente ai lavoratori in condizioni gravose o in stato di invalidità.
Calcolo contributivo, requisiti peggiori e misure meno allettanti
In sintesi, la “quota 41 per tutti” promossa dalla Lega e dai sindacati permetterebbe la pensione dopo 41 anni di contributi versati, una politica senza eccezioni.
Perché il calcolo contributivo alla fine potrebbe non essere la soluzione ideale per lo Stato?
Questa misura potrebbe diventare la nuova forma di pensione anticipata, simile alle pensioni di anzianità pre-Fornero. Per gli uomini, ciò significherebbe ridurre di un anno il requisito di carriera minimo per pensionarsi senza vincoli di età. Per le donne, l’anticipo sarebbe di dieci mesi. Quanto più precocemente si pensionano i lavoratori, tanto più il costo per lo Stato aumenta. Una “quota 41 penalizzata” potrebbe diventare un’alternativa più sostenibile dal punto di vista finanziario, riducendo l’assegno del 30 o 35% per chi raggiunge i 41 anni di contributi.
Pensioni anticipate, e se la riforma partisse da quota 96?
Nonostante non sia una misura largamente favorevole, la “quota 103” ha dimostrato di essere costosa. Nel 2024, questa è stata modificata per ridurre i costi, passando al calcolo contributivo dell’assegno e limitando l’importo a un massimo di quattro volte il trattamento minimo. La tendenza potrebbe continuare nel 2025, con una misura che rimane contributiva ma con requisiti d’età iniziando dai 63 anni, riducendo così i potenziali beneficiari e l’onere finanziario per lo Stato.
Le regole di calcolo della pensione, ecco i più penalizzati
Una nuova “quota 96”, simile a quella pre-Fornero, è popolare tra i lavoratori nei social media. Uscire dal lavoro a 62 anni, dopo 35 anni di contributi, è un’opzione allettante. Tuttavia, il costo elevato e un possibile calcolo contributivo, che potrebbe non produrre i risparmi sperati, rendono questa misura difficilmente attuabile.
Via a opzione per tutti, ma siamo sicuri che si possa fare nella riforma delle pensioni?
Per le ragioni sopra menzionate, è improbabile che sia adottata una misura estesa come quella proposta. L’ “Opzione donna”, che permette alle donne di pensionarsi con 35 anni di contributi tra i 59 e i 61 anni, è stata recentemente ridotta per limitare i costi. L’idea di estendere questa opzione anche agli uomini sembra poco probabile alla luce della necessità di contenere la spesa pubblica.