Qualcuno lo ha già definito il “momento Craxi”. Comunque si guardino le cose, è indubbio che per l’Italia di Giorgia Meloni si presenti l’occasione storica per resettare la politica europea. Siamo la terza economia dell’Unione Europea, ma l’asse franco-tedesco per decenni ha preteso di tenerci ai margini della governance comunitaria. Un po’ ce la siamo cercata con l’instabilità politica perenne, erraticità negli affari esteri e incapacità di dare forma alle nostre ambizioni con progetti credibili. Siamo percepiti come una Nazione indebitata alla continua ricerca di scuse per non mettere ordine al proprio bilancio pubblico.
Italia protagonista della politica europea
Ma la politica europea sta subendo trasformazioni impensabili fino a pochi mesi fa. In Olanda il nuovo governo vedrà azionista di maggioranza la destra sovranista di Geert Wilders. Le elezioni europee hanno spazzato via il governo francese e indebolito quello già flebile tedesco. L’asse nei fatti non si è spezzato, semplicemente è percepito molto meno autorevole e incisivo. Non per questo rinuncerà già al G7 in Puglia di farsi valere, specie nei confronti dell’Italia. Parigi e Berlino vedono Roma ora più che mai come un pericolo esistenziale per le proprie classi dirigenti al potere.
Meloni è l’unica leader attualmente forte tra quelli del G7. Ciò non assegna automaticamente alcun peso maggiore all’Italia, ma crea le condizioni per essere ascoltati con maggiore attenzione di prima. La congiuntura politica, e non solo, affida alla nostra premier un compito di portata storica: riequilibrare i rapporti tra stati europei. L’Italia non può più accettare di restare esclusa dall’asse attorno al quale ruota il destino dell’Unione. Terza economia dell’area, seconda manifattura dopo la Germania e tra i Paesi fondatori.
Serve nuova governance in UE
Per contare, però, bisogna avere le idee chiare su cosa volere e cosa/come chiedere.
Serve un’altra governance, dove al posto di lacci e lacciuoli a soffocamento delle economie nazionali vi sia una Unione amica di chi investe, produce, lavora. Il Green Deal fin qui perseguito come un feticcio e punito alle urne, deve essere rimpiazzato da un Growth Deal. L’Italia deve altresì rendere chiaro che l’ordine fiscale a cui necessariamente il governo si vincola per risanare i conti pubblici, deve essere accompagnato da una Banca Centrale Europea (BCE) non più anomalia tra gli istituti internazionali. Deve dotarsi di strumenti incondizionati, immediati e illimitati per contrastare qualsivoglia speculazione finanziaria ai danni di BTp e altri bond governativi.
Nord e Sud, compromesso necessario
La svolta non servirebbe soltanto a spegnere una volta per tutte gli spread, bensì anche a rendere l’euro una valuta di rilievo internazionale al fianco del dollaro. Ad oggi non lo è, semplicemente perché il mondo ci vede come un pollaio con tanti galletti che si azzuffano per niente, incuranti di quanto avvenga all’esterno. Nessuno può con certezza affermare che l’euro esisterà anche tra 30 o 50 anni. Nessuno dubita che il dollaro ci sarà tra diversi decenni, invece.
Il Nord Europa potrà protestare quanto vuole, ma è l’ultimo a poter parlare. La crisi bancaria scaturita nel 2008-’09 al livello internazionale ha colpito particolarmente le sue economie, destabilizzando l’intero continente. E quando due anni fa la Russia di Vladimir Putin occupava l’Ucraina, a Svezia e Finlandia veniva garantito l’ingresso incondizionato nella Nato per tutelarne l’integrità territoriale. Non si capisce perché le minacce esistenziali debbano essere sventate solo quando riguardino alcuni e non altri. La nostra si chiama spread e da anni non ci fa ragionare, come chi è afflitto da problemi di ansia e non riesce a programmare il futuro.
Politica europea a una possibile svolta
La politica europea, come del resto ovunque, è stata concepita come gestione dei rapporti tra forti e deboli secondo le regole dei primi. Grazie anche a una congiuntura economica favorevole, l’Italia può finalmente pretendere di far parte dei primi per rivedere le regole d’ingaggio e stare nei consessi internazionali alla pari del duo franco-tedesco. Tanto più che a breve potrebbe essere il nuovo governo di Parigi ad avere bisogno di Roma per sdoganarsi all’estero. Per non parlare del fatto che, in caso di vittoria di Donald Trump a novembre, il nostro Paese fungerebbe da collante tra le due sponde dell’Atlantico. Ruolo che non sarebbe possibile esercitare né per Macron, né per Scholz.