Soltanto poche settimane fa Carsten Spohr era sull’orlo di rinunciare alle nozze con Ita Airways, sfinito dalle continue richieste di correzione del piano da parte della Commissione europea. Ieri, il Ceo di Lufthansa partecipava alla conferenza stampa organizzata al Ministero dell’Economia a Roma per annunciare l’agognata fusione. Il commissario alla Concorrenza, Margrethe Vestager, ha finalmente acconsentito all’operazione, che consta di tre fasi. Sarebbero venuti meno i rischi, ha spiegato, di un innalzamento della tariffe ai danni dei passeggeri italiani, nonché di una riduzione nella qualità dell’offerta.
Tappe per fusione tra Ita e Lufthansa
Ita e Lufthansa hanno dovuto cedere qualcosa. Anzitutto, tra 15 e 17 slot a Linate, corrispondenti a 30-34 voli da e per lo scalo milanese. Per evitare situazioni monopolistiche per le rotte intra-europee, le due compagnie dovranno siglare un accordo con una compagnia avversaria. Si fa il nome di EasyJet. Infine, la rogna che più ostacoli ha comportato all’operazione: i voli intercontinentali tra Nord America e Italia. Le due compagnie dovranno coinvolgere una rivale con uno scalo che non allunghi il viaggio più di 3 ore rispetto al volo diretto. E Ita non potrebbe far parte della partnership tra Lufthansa e i vettori nordamericani.
Il piano avallato da Bruxelles prevede che Lufthansa entri nel capitale di Ita con un aumento riservato e una quota del 41% per l’importo di 325 milioni di euro. Successivamente, potrà salire al 90% e, infine, acquisire il restante 10% entro il 2033. Importo complessivo: 829 milioni. Il consiglio di amministrazione sarà composto da cinque membri. In una prima fase, esso sarà di tre componenti spettanti al Ministero dell’Economia e due ai tedeschi.
Ex Alitalia tra sussidi e inefficienze
Con il sì della terribile Vestager si metterebbe la parola fine a una vicenda imbarazzante per il Bel Paese. Già da mesi fioccano sfottò e prese di posizione contro il governo, reo di avere tradito le premesse “patriottiche” tanto ostentate a parole.
Alitalia-Ita non hanno mai garantito quella continuità territoriale che spetterebbe di diritto alle isole minori e maggiori dell’Italia. Viaggiare da e per Sardegna o Sicilia, ad esempio, comporta sostenere costi ingenti per studenti e lavoratori delle due regioni. Non si è visto alcun vantaggio nel mantenere pubblica una compagnia, che non ha fatto altro che zavorrare i conti pubblici, al contempo comportandosi come la più spregiudicata delle società private in posizione di monopolio.
Compagnia di bandiera non serve
I numeri del turismo italiano raccontano una storia ben diversa da quella secondo cui servirebbe una compagnia di bandiera per diventare una meta attrattiva. Malgrado l’assenza di un vettore tricolore di peso, non solo siamo tra le prime mete al mondo grazie alle bellezze naturalistiche e storico-culturali, ma oltretutto risultiamo anche la meta europea in maggiore crescita rispetto a prima del Covid.
Ita non all’altezza del Bel Paese
Ita ha chiuso il 2023 con 15 milioni di passeggeri, una frazione di quelli trasportati dalle grandi compagnie come Ryanair, Lufthansa ed Air France-Klm. Prima di chiudere battenti, Alitalia poteva contare su un potenziale di 24 milioni di passeggeri. Insomma, numeri ridicoli dinnanzi a big player di tutt’altro peso. Non siamo stati in grado come sistema Paese di gestire con oculatezza una compagnia aerea in un’economia baciata dalla fortuna di un turismo in costante ascesa.