A maggio il debito pubblico italiano ha compiuto un altro passettino in avanti verso la soglia psicologica dei 3.000 miliardi di euro (2.918,9 miliardi, +13,27 su aprile), che si avvicina ogni mese di più. A questi ritmi, non bisogna essere esperti di contabilità pubblica per capire che sarà raggiunta e superata da qui ad un anno. Cosa accadrà, quando diventerà un fatto e non più una prospettiva? Non sarà la prima volta che avremo a che fare con soglie psicologiche. I due precedenti rievocano bruttissimi ricordi.
Debito pubblico a 3000 miliardi non catastrofe in sé
E’ importante capire che un debito pubblico a 3.000 miliardi non comporta necessariamente alcuna catastrofe. Se così fosse, poiché il mercato sconta gli avvenimenti con anticipo, oggi lo spread dovrebbe mostrarsi esplosivo. Pur restando il più alto nell’Eurozona, tuttavia, si aggira intorno ai 130 punti base nelle ultime sedute, tornando ai livelli pre-elezioni europee. Numeri da sogno. Per conferma chiedere al Cavaliere nell’aldilà, travolto nel 2011 da uno spread schizzato fino al record di 576 punti base.
Conta rapporto con Pil e non solo
Già lo scorso anno, ad esempio, la Francia chiudeva i suoi conti con un debito oltre i 3.100 miliardi. A Parigi non risulta alcuna invasione recente di cavallette. Malgrado le tensioni politiche delle ultime settimane, continua ad esibire uno spread dimezzato rispetto ai livelli italiani.
Verrebbe da aggiungere che il Pil in sé non è una misura del tutto paragonabile al debito. Trattasi di una variabile di flusso contro uno stock. Come mettere in relazione le dimensioni di un mutuo con il reddito dell’intestatario, anziché più appropriatamente l’intero suo patrimonio. E il patrimonio di una nazione è dato dalla ricchezza dei suoi cittadini. Per la capacità delle passate generazioni, essa risulta attestarsi ai livelli tra i più alti al mondo rispetto al Pil, nonché in valore assoluto. Dunque, formalmente neanche un debito pubblico a 3.000 miliardi dovrebbe spaventare più di tanto.
Fiducia del mercato nel governo Meloni
Sorvolando da questo discorso molto più complesso di quanto pensiamo, i numeri ci raccontano anche altro. Da ottobre 2022 al maggio di quest’anno, cioè da quando il governo Meloni è in carica, il debito pubblico italiano è cresciuto di oltre 150 miliardi, al ritmo di 9 miliardi al mese. Fermandoci all’aprile scorso, ultimo mese di disponibilità dei dati, gli investitori stranieri avevano nel frattempo acquistato titoli di stato per quasi 68 miliardi e le famiglie italiane per 176 miliardi. In pratica, solamente le seconde hanno più che finanziato le emissioni nette nell’ultimo anno e mezzo, consentendo allo spread di scendere. Anche in considerazione della fiducia casalinga riscossa dai nostri BTp, la finanza straniera ha fatto ritorno nel Bel Paese.
Il primo passo per attirare fiducia all’estero è di segnalare di avercela in casa. Il piano Meloni, impostato su emissioni retail, sinora ha funzionato e gliene va dato atto. A rendere possibile il successo c’è stata senz’altro la caccia al rendimento con la risalita dei tassi e dell’inflazione. Ad ogni modo, ha funzionato. Questo non evita di per sé una qualche sciagura persino prima che il debito pubblico salga a 3.000 miliardi. La fiducia non si mantiene sui mercati solo riuscendo a vendere tanti BTp, ma specialmente emettendone di meno, ossia migliorando i saldi di bilancio.
Debito pubblico a 3000 miliardi, serve equilibrio di bilancio
Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha definito un dovere morale il pareggio di bilancio. Ha ragione. Esso sottintende la capacità di uno stato di non gravare il futuro dei propri cittadini di ulteriori incombenze. In Italia ci provano (a parole) tutti i governi da oltre trenta anni con risultati nulli. Per fortuna il mercato è diventato un po’ meno schizzinoso negli ultimi tempi, essendosi guardato attorno e percependo che il più pulito ha la rogna. Gli basta percepire in discesa il trend dell’indebitamento senza aggrapparsi a numeri magici. Sopravvivremo al debito pubblico a 3.000 miliardi, ma serve qualcosa di più dell’autocompiacimento per essere stati capaci di scansare la crisi negli anni passati.