Anche il primo semestre dell’anno si è chiuso in utile. Monte Paschi ha archiviato il periodo gennaio-giugno con profitti per 1,16 miliardi di euro, in crescita dell’87,3% su base annuale. Buona parte del boom è legato all’effetto positivo delle imposte per 457 milioni. Per l’intero esercizio, la banca senese guidata da Luigi Lovaglio si attende un utile ante-imposte di 1,3 miliardi fino a salire a 1,42 miliardi nel 2026 e a 1,66 miliardi nel 2028.
I numeri di Monte Paschi
Lo scorso anno, Monte Paschi chiuse con un utile di 2,052 miliardi.
Ipotesi terzo polo ancora lontana
Parole impensabili fino a qualche tempo addietro. Si specula da anni sulla possibile acquisizione di Monte Paschi da parte di un rivale sul mercato domestico. Unicredit ci andò vicina nel 2021, ritirandosi all’ultimo minuto. Banco BPM di Giuseppe Castagna non si mostra interessato, mentre sta sfumando anche l’ipotesi terzo polo. Pur senza usare toni netti, neanche Carlo Cimbri di UnipolSai ha ad oggi aperto di fatto alla rilevazione dell’asset senese. Detiene già Bper e Popolare di Sondrio.
Il Tesoro possedeva più del 64% del capitale fino al novembre scorso, ma attraverso due vendite rispettivamente del 25% e del 12,50%, è sceso al 26,732%. Dovrebbe entro qualche mese cedere un altro 10%, così da collocarsi sotto il 20% e poter segnalare all’Unione Europea di avere sostanzialmente privatizzato Monte Paschi. Ai prezzi di mercato, la quota pubblica vale intorno a 1,75 miliardi. L’intero capitale in borsa vale sopra i 6,5 miliardi.
Avanza scenario stand-alone
Con le cessioni di novembre e inizio aprile, il Tesoro ha perlomeno recuperato gli 1,6 miliardi spesi per partecipare all’aumento di capitale del 2022. Restano da recuperare altri 5,4 miliardi per poter uscire dal capitale senza perdite a carico dei contribuenti. Missione impossibile per il momento, anche dopo il boom delle azioni Monte Paschi a Piazza Affari (+160% da ottobre 2021). E se decidesse di restare nel capitale con una quota inferiore al 20%? E’ lo scenario “stand-alone” di cui si parla sottovoce sempre più spesso negli ultimi mesi. Il Tesoro presidierebbe una realtà bancaria di dimensioni minori e radicata sul territorio. In assenza di grandi investitori, si trasformerebbe in una “public company“.
Può una banca reggersi sul modello dell’azionariato diffuso? Un azzardo che vale la pena tentare, anzi forse una mossa obbligata, visto che nessuno si sta facendo avanti. Nei fatti, lo stato resterebbe azionista di riferimento, ma senza dare nell’occhio. Si limiterebbe a garantire una certa stabilità gestionale, ma non si metterebbe a fare la banca. In pratica, un po’ come accade in colossi come Eni ed Enel. Tutti sanno chi comanda, ma ciò non toglie che la gestione aziendale sia di mercato.
Monte Paschi solida, può attendere per possibili fusioni
Comunque vada, Monte Paschi non è più percepito come un asset tossico da cui prendere le distanze per non rischiare di associarne l’immagine. La banca è stata risanata, i crediti deteriorati si attestavano a 3,7 miliardi a fine giugno, sostanzialmente stabili. Quelli netti, cioè non coperti dagli accantonamenti, erano a 1,9 miliardi. Patrimonializzazione solida e capacità di fare utili prestando denaro. Tutti elementi che, nel peggiore dei casi, consentiranno a Lovaglio di aspettare senza alcuna fretta che si creino le condizioni per un’alternativa allo scenario “stand-alone”.