L’Italia finge di risanare i conti pubblici da 30 anni, ma i numeri hanno la testa dura e inchiodano i governi

L'austerità fiscale di cui ci lamentiamo è una nostra fake news rassicurante, perché i dati ufficiali raccontano tutta un'altra verità.
2 mesi fa
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Conti pubblici e crisi del gas

Tutto è opinabile nella vita, fuorché l’inconsistenza dell’Unione Europea. Un mostro giuridico incapace di avere voce in capitolo su qualunque dossier mondiale di rilievo, compreso quando abbia a che vedere proprio con il nostro continente. Bruxelles ha mille colpe, la peggiore di tutte di essersi trasformata in un leviatano burocratico ingessato e ingestibile. Ma c’è un’accusa che non regge: essere responsabile del disastro dell’economia italiana negli ultimi trenta anni. Se non ci fossero i commissari, spiegano alcuni bravi, la gestione dei conti pubblici diverrebbe meno problematica.

Lo stato italiano potrebbe sforare i tetti al deficit imposti dalle regole comunitarie per finanziare gli eccessi di spesa, gli investimenti, ecc. E grazie alla moneta sovrana, potrebbe stamparsene in quantità sufficiente per impedire l’esplosione dei rendimenti di mercato.

Conti pubblici e austerità

Tralasciamo la sequela di sciocchezze sulla monetizzazione del debito, ricordando una sola parola: Weimar. O per i meno avvezzi alla storia, meglio farsi una vacanza nello splendido Venezuela di Nicolas Maduro. Da molti anni circola una polemica onnipresente nei dibattiti pubblici, vale a dire che la nostra economia sia soffocata dall’austerità fiscale. Questa espressione evoca una gestione certosina dei conti pubblici, caratterizzata da bilanci grosso modo in pareggio, se non in avanzo, grazie o a causa di tagli alle spese e/o aumenti delle entrate (tasse).

Spesa per interessi crollata

L’Italia figura effettivamente tra le economie più tartassate al mondo, con una pressione fiscale ormai stabile al 42/43% del Pil. Ma basta questo a dire che siamo vittime dell’austerità? Guardando alle cifre degli ultimi trenta anni, tutto diremmo, tranne che i nostri conti pubblici siano oggetto di particolare attenzione dei governi. La spesa pubblica nel 2023 ha chiuso sopra i 1.150 miliardi di euro, al 55,2% del Pil. Sapete quant’era nel 1993, anno che segnò uno spartiacque tra Prima e Seconda Repubblica? A 491 miliardi, il 56,8% del Pil.

Da allora, risulta essere cresciuta del 134% in valore assoluto. Anche scontando l’inflazione del periodo, abbiamo una crescita reale del 43%.

E non è tutto. Nel ’93 la spesa per interessi raggiunse l’apice del 12,1% del Pil. Il tasso implicito del debito pubblico era del 12%, cioè lo stock richiedeva il pagamento di rendimenti medi del 12%. L’anno scorso, pur in risalita, la spesa per interessi fu del 3,8% del Pil e il tasso implicito ancora al 2,7%. In valore assoluto, abbiamo pagato ai creditori 78,6 miliardi di euro. Tanti, ma meno dei 105 miliardi di trenta anni prima, quando il Pil era al 40% rispetto ai livelli attuali e il denaro valeva molto di più. Cos’è successo? Abbiamo beneficiato del crollo dei tassi con l’ingresso nell’euro, ma lo abbiamo sprecato aumentando di pari passo la spesa primaria più di quanto sarebbe stato necessario.

Spesa primaria esplosa

Questi dati ci raccontano una verità scomoda. La spesa primaria, quella al netto degli interessi sul debito, è esplosa da 386 a 1.073 miliardi, cioè del 178% nel trentennio considerato. E’ salita dal 44,7% al 51,5% del Pil. Se fosse cresciuta in linea con l’inflazione, sarebbe stata intorno agli 816 miliardi nel 2023. Facendo i conti della serva, allo stato italiano sarebbero avanzati 315 miliardi. Chiaramente, avrebbe potuto permettersi di farci pagare imposte molto più basse e/o di investire su voci di spesa come infrastrutture, istruzione e sanità. Preveniamo le critiche: le dimensioni del Pil sarebbero state verosimilmente più basse, visto che la spesa pubblica finisce con l’alimentare i consumi e, quindi, la stessa produzione domestica. Tutto verosimile, ma il ragionamento non cambia. Abbiamo gonfiato la spesa senza per questo essere riusciti a sostenere la crescita del Pil. L’equazione tra spesa pubblica e crescita non è sempre valida come pensiamo. E ne siamo la dimostrazione lampante.

Qualità della spesa pubblica vero problema

I conti pubblici sono stati gestiti con così tanta oculatezza, che in trenta anni il debito è esploso di 2.100 miliardi. Anche in rapporto al Pil siamo passati dal 113% al 137%. L’austerità non c’è stata affatto, prova ne è il fatto che la spesa primaria sia cresciuta al ritmo medio annuo del 3,47% contro il 2,18% dell’inflazione. In termini reali, circa +1,30%. Dunque, se le scuole cadono vergognosamente in testa ad alunni e insegnanti, se le liste d’attesa negli ospedali sono infinite e se le strade sono diventate un colabrodo persino nel virtuoso Nord, la colpa non è dell’inesistente austerità, bensì dalle cattive scelte operate dai governi nei decenni. Abbiamo un problema di qualità della spesa e non di quantità.

Conti pubblici senza guida, 13 premier i 30 anni

L’instabilità politica è forse la prima causa del problema. I governi hanno avuto in media una durata fin troppo breve per riuscire a programmare qualcosa di sensato. I conti pubblici sono andati avanti con misure temporanee, senza alcuna lungimiranza e continuità tra un governo e il successivo. E’ già un miracolo che siamo riusciti a non affondare senza di fatto alcun capitano fisso nella plancia di comando. In trenta anni si sono avvicendati ben tredici premier a capo di diciotto esecutivi differenti (nel caso del terzo a guida Silvio Berlusconi si dovette alla semplice sostituzione di alcuni ministri). Numeri senza alcun paragone nel mondo. Questa la lista:

  • Carlo Azeglio Ciampi 1993-1994
  • Silvio Berlusconi 1994-1995
  • Lamberto Dini 1995-1996
  • Romano Prodi 1996-1998
  • Massimo D’Alema 1998-2000
  • Giuliano Amato 2000-2001
  • Silvio Berlusconi 2001-2005
  • Silvio Berlusconi 2005-2006
  • Romano Prodi 2006-2008
  • Silvio Berlusconi 2008-2011
  • Mario Monti 2011-2013
  • Enrico Letta 2013-2014
  • Matteo Renzi 2014-2016
  • Paolo Gentiloni 2016-2018
  • Giuseppe Conte 2018-2019
  • Giuseppe Conte 2019-2021
  • Mario Draghi 2021-2022
  • Giorgia Meloni 2022- in corso

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
Il suo motto è “Il lettore al centro grazie a una corretta informazione”; ogni suo articolo si pone la finalità di accrescerne le informazioni, affinché possa farsi un'idea dell'argomento trattato in piena autonomia.

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