Se vi dicessimo che c’è un investimento che ha reso circa il 70% in 5 anni, il 110% in 10 anni e il 490% in 20 anni? Pensereste a qualche asset rischioso, magari un titolo azionario della Silicon Valley. Invece, parliamo del boom dell’oro. Il metallo giallo non smette di correre. L’ultimo, ennesimo record risale al 26 agosto scorso quando la quotazione internazionale ha superato i 2.525 dollari per un’oncia. Per diverse ragioni aumenta tra gli analisti la sensazione che possano toccarsi i 3.000 dollari entro la fine dell’anno.
Boom oro trainato da banche centrali
Ed è il rapporto tra domanda e offerta a spiegare il boom dell’oro. Nei primi sei mesi dell’anno le banche centrali hanno acquistato un quantitativo record di 483 tonnellate. Il precedente massimo storico era stato toccato nel primo semestre dello scorso anno a 460 tonnellate. Ad avere accresciuto maggiormente le riserve auree sono stati gli istituti di Polonia (+18,68 tonnellate), India (+18,67) e Turchia (+14,63).
Fuga da dollaro? Non così presto
Questi dati vanno presi con le pinze. Grossi istituti come la Banca Popolare Cinese sono soliti condurre acquisti senza dichiararli tempestivamente. Nei quattro mesi ad agosto, ad esempio, Pechino risulta non avere acquistato neanche un lingotto. Probabile che non sia così, cioè che la domanda di metallo tra le banche centrali sia superiore a quella che emerge dai documenti ufficiali. E perché comprano, alimentando il boom dell’oro? Si definisce “diversificazione”. Da cosa? Dal dollaro Usa.
Da anni si parla di “dedollarizzazione”, vale a dire la volontà di molti stati, Cina e Russia in testa, di sganciarsi dal biglietto verde sul piano commerciale e finanziario. L’operazione ad oggi risulta grosso modo inattuabile per assenza di alternative.
Taglio dei tassi foraggia il metallo
Il boom dell’oro non si spiega solo con le tensioni geopolitiche in corso. La Federal Reserve si accinge questo mese a tagliare i tassi di interesse. La Banca Centrale Europea ha iniziato a farlo e domani con ogni probabilità comunicherà il bis. Tassi più bassi in prospettiva segnalano minore concorrenza al metallo da parte di asset come le obbligazioni. I rendimenti stanno effettivamente diminuendo e ciò avvantaggia il bene rifugio per eccellenza, essendo un asset senza cedola.
Il taglio dei tassi comporta un indebolimento del dollaro, che già perde più del 4% in media contro le altre valute mondiali dai massimi di fine aprile scorso. Un cambio più debole rende più vantaggioso l’acquisto di oro fuori dagli Stati Uniti, poiché denominato nella valuta americana. A ciò aggiungiamo che l’allentamento monetario consegue non soltanto al rallentamento dell’inflazione, ma anche al rischio di recessione negli Stati Uniti e alla congiuntura quasi stagnante in Europa. Ciliegina sulla torta: le tensioni tra Occidente e Asia.
Boom oro tendenza di lungo periodo
Il boom dell’oro non è isolato. L’argento segna un rialzo quest’anno sopra il 19% e mostra un grosso potenziale, guardando al “gold-silver ratio” nell’ultimo ventennio. A parte tutto, infine, c’è uno spettro ineludibile che si aggira tra le case d’investimento di tutto il mondo: il debito americano. Washington presenta squilibri fiscali sempre meno sostenibili. Le elezioni presidenziali di novembre non punteranno a risolvere il problema, dato che i due contendenti per la Casa Bianca escludono politiche di austerità e sfoggiano misure espansive tra aumenti di spesa e tagli delle tasse.