In Libano la guerra arriva dopo 5 anni di crisi economica devastante, cosa farà Hezbollah?

Il Libano è entrato in guerra con Israele per mezzo di Hezbollah e dopo 5 anni di crisi economica tra le peggiori di sempre al mondo.
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Guerra in Libano dopo anni di gravissima crisi economica
Guerra in Libano dopo anni di gravissima crisi economica © Licenza Creative Commons

La morte di Hassan Nasrallah a seguito degli attacchi israeliani nella città di Beirut segna un nuovo capitolo per la storia del Libano. L’uomo è stato per trenta anni a capo di Hezbollah (letteralmente, “Partito di Dio”), il più grande corpo paramilitare al mondo. Sotto di lui le milizie islamiste sciite compirono il salto di qualità, divenendo non solo braccio armato, ma uno dei principali partiti politici del paese.

Libano da California del Medio Oriente a disastro

I libanesi sono abituati a guerre e tensioni geopolitiche.

Tra il 1983 e il 1990 vi fu una sanguinosa guerra civile, seguita dal conflitto con Israele nel 2006. Fino a una quarantina di anni fa, il Libano era soprannominato “la California del Medio Oriente” per gli elevati standard di vita dei suoi cittadini. E bisogna ammettere che fino a pochi anni fa, malgrado le distruzioni materiali e le perdite umane seguite ad anni di guerre, fosse riuscito a rilanciarsi tramite una ricostruzione in apparenza promettente.

Poi, tutto ciò che sarebbe potuto andare storto, andò storto. Siamo nell’ottobre del 2019, esattamente cinque anni fa. Decine di migliaia di persone, perlopiù giovani, occupano le strade della capitale per protestare contro la corruzione dilagante e alla luce del sole. Nel mirino c’era il governo di Saad Hariri, che poco dopo si dimise. Quello che i cittadini del Libano non sapevano è che l’economia nazionale sarebbe precipitata subito dopo all’inferno. La Banca Mondiale ha definito la crisi ancora in corso “una delle tre peggiori di sempre nella storia economica moderna”.

Fuga dei capitali stranieri

Hariri era una figura politica rassicurante per l’Occidente. Figlio dell’ex premier Rafiq, rimasto ucciso in un attentato nel 2005 per mano di uomini di Hezbollah, aveva attratto capitali stranieri negli anni del suo governo. La Costituzione nata dopo la conclusione della terribile guerra civile negli anni Ottanta prevede una spartizione delle cariche seguendo criteri religiosi: il governo deve essere guidato da un mussulmano sunnita, il capo dello stato deve essere un cristiano e il presidente del Parlamento un mussulmano sciita.

Con gli anni, questa suddivisione, anziché portare pace, è finita con l’alimentare il settarismo della politica libanese, dove le istituzioni sono da decenni occupate non più per merito, bensì per rivendicazioni di tipo religioso. Hezbollah alimenta le tensioni interne, avendo la sua ragion d’essere nella lotta allo stato di Israele, il vicino del Sud. E’ sostenuto, anche finanziariamente, dall’Iran dell’ayatollah Khamenei. Quando il governo Hariri cadde a fine 2019, i capitali stranieri presero la via di fuga. Gli investitori temettero di ritrovarsi in balia di una politica in mano a Teheran, ostile per definizione all’Occidente e al capitalismo.

Cambio al collasso e inflazione alle stelle

Fu il dramma. Il tasso di cambio, che era ancorato al dollaro a un rapporto di 1.500 sin dal 1997, collassò. Pensate che solo quest’anno la banca centrale si è decisa a liberalizzarsi e il cambio di mercato è attualmente di 89.500. In pratica, la valuta del Libano ha perso il 98% in cinque anni. L’inflazione esplose fino a tre cifre. I prezzi al consumo in sessanta mesi risultano essersi moltiplicati per sessanta volte. In media, l’inflazione annuale è stata superiore al 127% nell’ultimo quinquennio. A picco le riserve valutarie, che dai 55,4 miliardi di dollari del 2017 sono precipitate (oro incluso) ad appena 8,8 miliardi nel 2023, risalendo in area 10,5 miliardi nel luglio scorso.

Il Pil si è contratto nel frattempo di oltre i due terzi, passando dai 54,9 miliardi di dollari del 2018 ai 18 miliardi del 2023. Per quest’anno sarebbe dovuto crescere sopra i 20 miliardi, ma con la guerra in corso è possibile che stia andando ancora una volta all’indietro. Di conseguenza, il rapporto tra debito e Pil è schizzato da circa il 150% al 325% atteso per fine 2024.

Il Libano è effettivamente in default sin dal marzo del 2020, quando non fu in grado di onorare la scadenza di un Eurobond da 1,2 miliardi di dollari.

Hezbollah contro riforme economiche

Naturale che la povertà si sia impennata sopra l’80%. Una delle principali criticità ha a che fare con i soldi in banca. Dovete sapere che per decenni i risparmiatori hanno avuto modo di depositare la liquidità in dollari. In questi anni di crisi, per impedire che le banche commerciali fallissero, l’istituto centrale ha imposto controlli sui capitali. I prelievi sono limitati e fissati ad un cambio notevolmente più forte di quello reale. In pratica, ancora oggi i dollari sul conto possono essere scambiati a un tasso di 15.000 lire, per cui i titolari ricevono quasi sei volte in meno della liquidità a cui avrebbero diritto in base ai tassi di mercato.

Hezbollah si è comportato da attore irresponsabile in questa crisi. Anziché allearsi con gli altri partiti per impedire la caduta dell’economia, ha soffiato sul fuoco del malcontento, tra l’altro assistendo a un calo dei consensi alle elezioni politiche del 2022. Ha impedito tra l’altro un accordo con il Fondo Monetario Internazionale (FMI), contrario a qualsiasi prestito che provenga dall’Occidente e alle riforme economiche necessarie per favorire il rilancio della crescita nel medio-lungo periodo, nonché alle misure di austerità fiscale.

Libano tra crisi e guerra

Con la nascita del nuovo governo e la nomina a premier di Najib Mikati, l’FMI ha stanziato 3 miliardi di dollari a favore del Libano, ma sinora non ha sborsato un centesimo. Resta in attesa di assistere al varo delle riforme contro la corruzione e per risanare i conti pubblici. Difficile che con la guerra in corso sia questa la priorità dell’esecutivo. Sappiamo che la morte di Nasrallah ha portato ad un cambio di leadership in Hezbollah. Il successore si chiama Hashem Safieddine.

Il rischio è che vada nella direzione opposta a quella auspicata, cioè ad un’ulteriore radicalizzazione del movimento. Non è quello che servirebbe a Beirut per superare la crisi e tendere a rapporti meno bellicosi con lo stato ebraico. I 5,5 milioni di abitanti sembrano essere sprofondati in un incubo del quale la fine si allontana ogni giorno di più.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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