Cosa significa pensione con la quota pura e perché sarebbe un sogno per i lavoratori

Ecco come potrebbero funzionare delle pensioni anticipate impostate sulla quota pura, ovvero sul meccanismo flessibile che molti lavoratori auspicano.
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Cosa significa pensione con la quota pura e perché sarebbe un sogno per i lavoratori
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Da anni, forse da troppi, sono state introdotte misure di pensionamento anticipato che includono la parola “quota” nel loro nome. Così, nel tempo, si sono succedute la Quota 41, la Quota 100, la Quota 102 e la Quota 103. In passato, prima della riforma Fornero, esisteva anche la Quota 96. Oggi è ancora in vigore una misura chiamata “scivolo usuranti”, che prevede una quota da raggiungere, insieme a un’età minima di uscita e un’età contributiva minima da rispettare.

Probabilmente, la misura che più si avvicina a quella che dovrebbe essere una vera “quota” è proprio quella che non contiene la parola “quota” nel suo nome: lo scivolo usuranti.

Per comprendere meglio, il concetto di “quota” si riferisce alla somma di due elementi, ossia l’età anagrafica e l’età contributiva. Quando la somma raggiunge la soglia prevista, dovrebbe consentire il pensionamento. Tuttavia, nelle misure citate, il termine “quota” viene spesso utilizzato in modo improprio. Infatti, una misura “a quota” dovrebbe essere realmente libera, ossia basata su una “quota pura”.

Cosa significa pensione con la quota pura e perché sarebbe un sogno per i lavoratori

Ragionare oggi su una misura “a quota pura”, in un contesto in cui si parla solo negativamente delle pensioni e si prospetta una riforma poco favorevole ai lavoratori a causa dei conti pubblici in rosso, potrebbe sembrare fuori luogo. Tuttavia, è importante chiarire cosa significhi una pensione con la quota pura e perché rappresenterebbe un sogno per i lavoratori.

La Quota 41 per i lavoratori precoci, così come una ipotetica Quota 41 per tutti, utilizza il termine “quota” in modo improprio, perché non impone limiti di età e richiede solo 41 anni di versamenti. La vera “quota” dovrebbe invece consentire il pensionamento sommando età e contributi. Neanche le misure Quota 100, Quota 102 e Quota 103 possono essere considerate vere misure “a quota”, ma si avvicinano di più rispetto alla Quota 41.

Ad esempio, la Quota 100 permetteva il pensionamento a chi avesse 62 anni di età e 38 anni di contributi; la Quota 102 prevedeva 64 anni di età e 38 anni di contributi, mentre l’attuale Quota 103 richiede 62 anni di età e 41 anni di contributi. Tuttavia, queste misure rimangono troppo rigide, mancando di flessibilità, che invece è presente nello scivolo usuranti, dove la Quota 97,6 rappresenta solo un requisito aggiuntivo.

Le pensioni per i quotisti sono sempre state troppo rigide

Per accedere alla pensione con la Quota 100, come detto, occorrevano 62 anni di età e 38 anni di contributi. La somma algebrica di questi due elementi dava esattamente 100, da cui il nome. Tuttavia, chi maturava 38 anni di versamenti a 63 anni andava in pensione comunque, ma in realtà usciva a Quota 101. Allo stesso modo, chi aveva 38 anni di contributi a 61 anni era costretto ad aspettare un anno in più, andando effettivamente in pensione con Quota 100.

Per lo scivolo precoci, invece, si esce dal lavoro con almeno 61 anni e 7 mesi di età e 35 anni di contributi. La somma di questi due fattori è 96,7, troppo poco per accedere alla pensione. Ecco perché intervengono le frazioni di anno, ossia i mesi aggiuntivi sia sull’età sia sui contributi, fino a raggiungere la quota 97,6, necessaria per il pensionamento.

Ecco cosa rappresenta il sogno di molti lavoratori

Una misura “a quota” degna di questo nome dovrebbe essere pura, cioè una “quota libera”. Questo rappresenta il sogno dei lavoratori, come detto prima. Prendendo come esempio la Quota 100, in vigore dal 2019 al 2021, si può capire meglio come si potrebbe realizzare tale sogno.

Per andare in pensione, si dovrebbe raggiungere la Quota 100 sommando età e contributi. Anche senza utilizzare le frazioni di anno (che comunque sarebbero utili per una quota realmente pura), sarebbe necessario eliminare i vincoli rigidi di età minima e contributi minimi. In pratica, si dovrebbe poter andare in pensione a 61 anni con 39 anni di contributi, o a 60 anni con 40 anni di contributi.

Al contrario, si potrebbe andare in pensione a 64 anni con 36 anni di contributi, o a 65 anni con 35 anni di versamenti, e così via. Tutto ciò ogni volta che la somma di età e contributi raggiunge la fatidica Quota 100.

Una pensione davvero flessibile

Lo stesso ragionamento può essere applicato alla Quota 103, che richiede una carriera contributiva molto lunga, ossia 41 anni di versamenti. Chi ha già 42 anni di contributi, ma non ha ancora 62 anni di età, deve attendere l’anno successivo. Andando effettivamente in pensione con 43 anni di contributi e una Quota 105, nonostante il nome della misura sia Quota 103. Invece, dovrebbe poter andare in pensione a 61 anni, avendo già accumulato 42 anni di contributi. Allo stesso modo, chi ha solo 39 o 40 anni di contributi dovrebbe poter lasciare il lavoro a 64 o 63 anni.

In sintesi, una “quota pura” e libera significherebbe una quota flessibile, che offre maggiori opportunità di pensionamento. E libera i lavoratori in base alla loro reale situazione. Se si utilizzassero anche le frazioni di anno, le possibilità di uscita aumenterebbero esponenzialmente.

Giacomo Mazzarella

In Investireoggi dal 2022 è una firma fissa nella sezione Fisco del giornale, con guide, approfondimenti e risposte ai quesiti dei lettori.
Operatore di Patronato e CAF, esperto di pensioni, lavoro e fisco.
Appassionato di scrittura unisce il lavoro nel suo studio professionale con le collaborazioni con diverse testate e siti.

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