La Germania è di nuovo “il malato d’Europa”, definizione per cui fu nota nel mondo un quarto di secolo fa fino a tutti i primi anni Duemila. Il governo tedesco ha rivisto in negativo le stime sul Pil di quest’anno. Non solo non crescerà, ma è atteso in calo dello 0,2% dopo il -0,3% accusato nel 2023. La manifattura è in crisi, il comparto automotive annuncia licenziamenti di massa. Tra costi dell’energia elevati, burocrazia asfissiante, scarsa innovazione tecnologica e declino demografico, non ci sono solide aspettative di ripresa nel breve termine.
Disastro targato Verdi, ma non solo
Nel maggio scorso, i Cristiano democratici (Cdu) e i Cristiano sociali bavaresi (Csu), partiti gemellati al Bundestag sin dal 1949, hanno sottoscritto il Grundsatzprogramm, il programma costituente in vista delle elezioni federali nel 2025. In esso compare proprio la proposta di tornare alla produzione di energia nucleare, preso atto del disastro provocato dall’ambientalismo dei Verdi, al governo da tre anni.
L’ex ministro della Salute, Jens Spahn, ha chiesto pubblicamente al ministro dell’Economia, Robert Habeck, di accertare che l’uscita in corso dal nucleare non ne pregiudichi la produzione futura. Gli ultimi impianti sono stati spenti nell’aprile del 2023. Trattasi dei reattori di Emsland (Bassa Sassonia), Isar 2 (Baviera) e Neckarwestheim (Baden-Wuerttemberg). Tuttavia, non sono stati anche dismessi. In pratica, la loro riattivazione resta possibile, anche se non sarebbe un fatto immediato.
Chiusura delle centrali dopo incidente a Fukushima
La decisione di uscire dal nucleare risale, a dirla tutta, agli anni della cancelliera Angela Merkel, paradossalmente una cristiano-democratica. Fu sua la volontà nel 2011 di dare una svolta alla politica energetica per il medio-lungo periodo dopo l’incidente di Fukushima in Giappone. Un modo per arrestare quella che al tempo sembrava un’ascesa inarrestabile per i consensi dei Verdi all’opposizione.
Con la guerra tra Russia e Ucraina la politica merkeliana è andata in pezzi. Ha lasciato in eredità alla Germania costi salati per le bollette e rischi in fase di approvvigionamento. Incuranti della realtà, i Verdi hanno chiuso ad ogni possibilità di rinviare la chiusura delle centrali nucleari, limitandosi ad accettare uno spostamento di pochi mesi. Ma gli ambientalisti sono in fortissima crisi di consenso. Scesi nei sondaggi sotto la doppia cifra e implosi nei Laender andati di recenti al voto, i loro vertici si sono dimessi. Va persino peggio agli alleati di governo. I liberali dell’Fdp rischiano di restare fuori dal Bundestag tra meno di un anno, mentre i socialdemocratici dell’impopolarissimo cancelliere Olaf Scholz sono stati scavalcati nei consensi persino dall’Afd. Questi è tacciato di simpatie neonaziste dagli altri partiti.
Ritorno al nucleare fine del merkelismo
Il ritorno al nucleare sarebbe la fine della religione ambientalista, imposta proprio da Berlino al resto dell’Unione Europea. Il candidato conservatore Friedrich Merz può così togliersi un altro sassolino dalla scarpa contro la rivale di sempre: Frau Merkel. Il suo lascito politico verrebbe così sostanzialmente azzerato. La crisi in cui è precipitata la Germania con la pandemia, d’altra parte, non è congiunturale, bensì di modello. L’economia tedesca produceva a basso costo, importando petrolio e gas dalla Russia. E riusciva ad esportare anche grazie ai mercati aperti, specie sempre più in Asia. Le tensioni geopolitiche hanno mandato in frantumi l’una e l’altra condizione.