I governi di Kiev e Seul hanno lanciato l’allarme da giorni: Kim Jong-Un avrebbe già inviato al fronte fino a 3.000 uomini, primi di un contingente di 11.000 soldati che arriveranno complessivamente sul territorio ucraino. La Corea del Nord, stretta alleata della Russia di Vladimir Putin, vuole combattere al suo fianco la guerra contro l’Occidente. Nei mesi scorsi, i due paesi hanno firmato un accordo di partenariato strategico. Esso consente a Pyongyang di esportare munizioni e armi verso Mosca, anche se il regime nega di star rifornendo i russi contro l’Ucraina.
Kim Jong-Un svaluta cambio del 10%
Il salto di qualità nell’invio di un contingente non sarebbe, però, il frutto dell’ideologia. Kim Jong-Un sta affrontando un periodo difficilissimo per l’economia nordcoreana. Secondo un documento interno visionato da Daily-NK, quotidiano degli oppositori all’estero, il governo avrebbe svalutato il cambio di oltre il 10%. Per un dollaro ci vorranno 8.900 won e non più gli 8.000 richiesti per molti anni e sin da quando l’attuale leader si era insediato al potere. E’ la spia di un profondo malessere che cova a livello economico. Come dimostrerebbe il grafico sottostante, sul mercato nero le cose stanno andando molto peggio. Nell’ultimo anno, il cambio si sarebbe svalutato del 50% contro il dollaro a un tasso medio di 16.000 won.
Per capire meglio cosa sta accadendo, dobbiamo premettere che l’economia nordcoreana è chiusa e per niente libera. Essa funziona a tutti gli effetti secondo i principi del comunismo staliniano. Quando Kim Jong-Un arrivò al potere alla fine del 2011, a seguito della morte del padre Kim Jong-Il, aveva ereditato una situazione pesantissima sul piano economico e, nello specifico, monetario. L’alta inflazione nel 2009 aveva destabilizzato il cambio al punto da provocare proteste di piazza, un fatto rarissimo in un paese dove si rischia la pena di morte anche solo per un’espressione del viso inappropriata.
Misure draconiane contro inflazione
Il governo al tempo decise di imporre misure draconiane: ritiro di tutta la moneta in circolazione e la sostituzione con nuove banconote. In questo modo, la moneta frutto di attività illecite (economia sommersa e criminalità) sparì sostanzialmente dalla circolazione e i prezzi al consumo vennero stabilizzati. Kim Jong-Un riuscì a tenere a bada l’inflazione nei primi anni, tra l’altro fissando il cambio a 8.000 won contro il dollaro. Come? Ridusse drasticamente i prestiti delle banche statali. Nei fatti, le imprese si ritrovarono a corto di liquidità per investire e i consumi furono depressi.
Questa situazione è rimasta praticamente inalterata fino alla pandemia. Agli inizi del 2020 la Corea del Nord dovette chiudere le frontiere con la Cina per evitare una crisi sanitaria. Il cambio si apprezzò contro dollaro e yuan, in conseguenza delle importazioni azzerate. Per un dollaro arrivarono a servire meno di 5.000 won. Tutto ciò non ha beneficiato la popolazione, che si è ritrovata senza sufficienti beni di consumo, anche di base. Ma dallo scorso anno le restrizioni sono state allentate e l’import-export con la Cina è risalito, pur restando lontano dai livelli pre-Covid e in assoluto molto contenuto.
Crisi del cambio con ripresa scambi commerciali
Il collasso del cambio è partito da quel momento. Le importazioni sono aumentate, mentre le esportazioni no. E per una ragione elementare: la Corea del Nord non produce praticamente nulla, perlomeno non in quantità superiori allo stretto soddisfacimento della domanda interna. Se la crisi non si arresta, l’inflazione esploderà e il malcontento pure. Già in queste settimane si segnalano tensioni interne. Il regime di Kim Jong-Un ha imposto un giro di vite contro gli agenti del cambio, accusati di complottare contro la sopravvivenza dello stato.
La verità è che Pyongyang ha bisogno di soldi come mai prima. Starebbe attingendo alle risorse sottratte ai cambiavalute per finanziare la ricostruzione nella provincia di Nord Pyongan, colpita di recente dall’alluvione. E i rapporti diplomatici con la Cina non sono tanto buoni. Le autorità di Pechino hanno rimpatriato il mese scorso 120 lavoratori nordcoreani dopo la fuga di una donna, che si presume essere mentalmente instabile. Kim Jong-Un non l’ha presa bene, perché l’invio di lavoratori all’estero è principale fonte di guadagno e di accesso alla valuta straniera. Le Nazioni Unite hanno vietato tale pratica nel 2017 con una risoluzione tesa a porre fine alla schiavitù legalizzata.
Corea del Nord quarta potenza militare
Ed ecco che torniamo ai soldati spediti in Ucraina. Quale migliore occasione per la Corea del Nord per stringersi ancora di più alla Russia e trarne beneficio economico? L’invio delle truppe non sta avvenendo gratis. C’è da scommettere che Kim Jong-Un abbia concordato con l’amico Putin una buona ricompensa in denaro e/o regolata con l’invio di beni come il petrolio. Anch’esso è sotto embargo ONU in risposta ai test nucleari con tanto di lancio di missili balistici nel Pacifico.
La Corea del Nord sarà anche un’economia insignificante sul piano globale e persino regionale, ma è quarta potenza militare dopo Cina, Stati Uniti e India. Su una popolazione di 25 milioni di abitanti scarsi, infatti, ha un esercito di 1,3 milioni di soldati a cui si sommano 7 milioni tra paramilitari e riservisti. La leva è obbligatoria per un periodo di 10 anni per gli uomini e 7 anni per le donne. Pur mal equipaggiato, l’esercito nordcoreano resta temuto nell’area. Lo stato dedica alla spesa militare, si stima, quasi un sesto del Pil.
Kim Jong-Un guarda ai Brics
In sostanza, per Kim Jong-Un i soldati in Ucraina saranno denaro in ingresso in un’economia perennemente al collasso. Carne da macello, che può servire ad attutire la crisi, consentendo al regime di aumentare nel breve termine le importazioni e calmierare i prezzi interni. Ma la caduta del cambio non è di certo risolvibile così. In assenza di meccanismi di mercato per giungere a un qualche equilibrio valutario, l’unica prospettiva credibile sarebbe che la Corea del Nord riuscisse a potenziare le esportazioni. Di cosa? Il sottosuolo è ricchissimo di materie prime come litio e zinco, ma non sfruttate per la totale chiusura al resto del mondo, oltre che per carenza di capitali domestici. Forse è per questo che Pyongyang vuole entrare nei Brics. Difficile che possa accadere, più facile che sottoscriva accordi bilaterali con Russia e Cina.