Un trucco nascosto nella legge di Bilancio, oppure un’agevolazione che fa andare in pensione 3 anni prima. O ancora, una soluzione innovativa che, grazie alla previdenza integrativa, consente di andare in pensione anticipata prima. Sommando ciò che si prende dalla previdenza obbligatoria con quello della previdenza complementare. In giro sul web e su tanti media, dopo il varo della legge di Bilancio, si legge tutto e il contrario di tutto. A volte per erronee interpretazioni degli articoli (sono 144) della legge di Bilancio.
L’uso della previdenza integrativa per anticipare la pensione: chiarimenti necessari
“Salve, volevo un chiarimento se possibile. Sono interessato, compiendo 64 anni di età nel 2025, alla pensione anticipata contributiva. Ho 21 anni di contributi e conto di completare 22 anni l’anno prossimo. Ho dei dubbi che possa arrivare a una pensione di 3 volte l’assegno sociale come previsto dalla legge. E quindi ho dubbi sulle mie possibilità di pensionamento. Però leggevo che per le anticipate contributive potrei utilizzare la rendita che ho versato in un fondo pensione integrativo per raggiungere più facilmente una pensione pari a 3 volte l’assegno sociale. Che, se non erro, nel 2025 dovrebbe essere una pensione di oltre 1.620 euro al mese. Mi dite che è vero, spero?”
Pensioni: non esistono trucchi che agevolano la pensione anticipata contributiva
Prima del varo della legge di Bilancio era comparsa una voce che vedeva nell’utilizzo della previdenza complementare una possibile soluzione atta a favorire il pensionamento in regime contributivo. In pratica, dal momento che le pensioni in regime contributivo, sia di vecchiaia che anticipate, sono collegate a determinati importi che la stessa pensione deve necessariamente raggiungere, grazie all’aggiunta di ciò che un contribuente recuperava dai fondi pensione a cui era iscritto, raggiungere quelle soglie doveva essere più facile.
Nel discorso entrarono anche i Trattamenti di Fine Rapporto (TFR). Si parlava, in effetti, di rendere obbligatoria la destinazione di una parte del TFR ai fondi pensione integrativi, con meccanismo di silenzio assenso per i vecchi assunti, per le nuove quote di TFR che vengono destinate alla buonuscita mese per mese durante i periodi di lavoro.
Qualcosa la legge di Bilancio ha introdotto in materia, effettivamente favorendo il pensionamento in regime contributivo per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995. O per chi aderisce al computo nella Gestione Separata. Ma solo sulla pensione di vecchiaia a 67 anni e non per la pensione anticipata contributiva, come qualcuno erroneamente ha scritto.
L’articolo 28 della legge di Bilancio: misure in materia di previdenza complementare
L’articolo della legge di Bilancio che tratta della previdenza complementare e di come usarla per accelerare il pensionamento è il numero 28. Che si intitola proprio “Misure in materia di previdenza complementare”. Nel testo dell’articolo si legge che si aggiunge il comma 7 bis al comma 7 dell’articolo numero 24 del decreto-legge numero 201 del 6 dicembre 2011. Si tratta del decreto che imponeva ai lavoratori il cui primo accredito è successivo al 31 dicembre 1995, di raggiungere a 67 anni una pensione non inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale per poter andare in quiescenza.
Dal 2024 la soglia è ridotta solo a una volta l’assegno sociale. In pratica, per andare in pensione di vecchiaia (non in pensione anticipata) come contributivi, gli interessati devono maturare, oltre ai 67 anni di età e i 20 anni di versamenti, anche un trattamento almeno pari all’assegno sociale. In genere, chi non ci riesce deve aspettare i 71 anni, quando viene meno l’importo soglia della pensione.
Invece, grazie al nuovo comma 7 bis aggiunto a quel decreto, a decorrere dal 1° gennaio 2025, ai soli fini del raggiungimento dell’importo soglia mensile, su richiesta dell’assicurato, può essere computato, unitamente all’ammontare mensile della prima rata di pensione di base, anche il valore teorico di una o più prestazioni di rendita di forme pensionistiche di previdenza complementare richieste dall’assicurato. In parole povere, anche ciò che esce fuori dalla rendita della previdenza complementare si aggiunge alla pensione INPS. Così da raggiungere più facilmente l’importo dell’assegno sociale senza il quale in pensione non si può andare.
L’uscita diventa più facile, ma solo per le pensioni di vecchiaia in regime contributivo
E’ così facilitato l’accesso alla pensione di vecchiaia come contributivi puri. Ma non l’accesso alla pensione anticipata contributiva, cioè quella che si centra con 64 anni di età e con 20 anni di contributi. Per questa pensione, che come tutti sanno necessita di un importo soglia di 3 volte l’assegno sociale, non c’è traccia nell’articolo 28 della nuova legge di Bilancio. Chi scrive diversamente non ha letto bene le norme. O ha interpretato male l’articolo nel testo della manovra che è finito alla Camera dei Deputati per l’avvio dell’iter di approvazione. E dal momento che si tratta di un vincolo ben maggiore rispetto alla pensione di vecchiaia, è evidente che siamo di fronte a una carenza che impedisce il pensionamento anticipato a molti lavoratori.
A poco serve il fatto che per le donne l’assegno da 3 volte il valore dell’assegno sociale può scendere a 2,8 volte se hanno avuto un figlio. O a 2,6 volte se ne hanno avuti almeno due. E a volte non basta nemmeno l’altro vantaggio offerto, che è quello del migliore coefficiente di trasformazione del montante contributivo in pensione. Perché, sempre per le donne con figli, uscendo a 64 anni si può richiedere l’utilizzo del coefficiente dei 65 anni in caso di uno o due figli.
Restano troppo alte le soglie per la pensione anticipata contributiva
Sarebbe stato un toccasana consentire anche alle pensioni anticipate contributive di cumulare la loro liquidazione con quella della previdenza integrativa per chi la possiede. Perché è evidente che nel 2025, salendo l’assegno sociale, saliranno anche le soglie da centrare per poter uscire a 64 anni con 20 anni di versamenti. E con la pensione anticipata contributiva.
Considerando che la pensione deve arrivare a 1.620 euro per essere pari ad almeno 3 volte l’assegno sociale. Oppure a 1.512 euro per essere pari a 2,8 volte e a 1.404 euro per essere pari a 2,6 volte. E’ evidente che con 20 anni di contributi molti rischiano di essere esclusi da questa possibile pensione.