Ci sono i conti dello stato da tenere in ordine, attraverso la minimizzazione degli sprechi e, ove possibile, degli illeciti legati alla corruzione e alla distrazione dei fondi pubblici. Sarà stata questa la premessa per l’art.112 della legge di Bilancio per il 2025, recante titolo “Misure di potenziamento dei controlli di finanza pubblica”. Se n’è parlato pochissimo, per non dire niente all’infuori delle categorie a cui fa riferimento. Invece, si tratta di una novità dirompente. Tutte le società private e gli enti che riceveranno fondi pubblici per un importo di almeno 100.000 euro, saranno tenuti a integrare i rispettivi collegi sindacali o di revisione con un rappresentante del Ministero di economia e finanze (Mef).
Fondi pubblici, ecco le realtà coinvolte
L’obbligo ricadrà sulle società di capitali, le cooperative, le fondazioni e le associazioni. Restano escluse le srl, a patto che nominino un sindaco unico o un revisore. Le stime parlano di 40.000 soggetti in tutto coinvolti, di cui 30.000 spa o società per azioni. Entro la fine di marzo il governo fisserà definitivamente l’importo minimo per i fondi pubblici erogati, oltre il quale scatta l’obbligo di integrazione dell’organo di monitoraggio.
Troppi abusi, ma soluzione dubbia
Che lo stato debba controllare in misura più pregnante a chi dà i denari dei contribuenti ed evitare che finiscano per alimentare finalità diverse da quelle previste, è qualcosa che avvertiamo tutti noi cittadini. Ci sono scarsissimi controlli su come molte aziende usino i fondi pubblici, spesse volte non per investire, bensì per operazioni di puro “mordi e fuggi”. E tanti saluti a tutti. Che questa sia la soluzione, però, è altamente dubbio.
Ogni anno, lo stato italiano eroga diversi miliardi di euro ad enti e aziende, al fine di raggiungere obiettivi anche nobili, come lo sviluppo del territorio, la diffusione della cultura, ecc.
Norma a rischio flop
Seconda critica: ammettendo che realmente il Mef invierà ispettori in tutte le 40 mila realtà da monitorare, dispone di tanto personale? La risposta la conoscete. Anche se ciascuno potrà monitorare più aziende, fondazioni, associazioni ed enti, resterebbe il problema di provvedere in tempi stretti alle nomine e ad eliminare sul nascere i possibili conflitti di interesse. Sulla carta potrebbe anche funzionare, nella realtà sarebbe l’ennesimo flop normativo.
Infine, se proprio ce la dobbiamo raccontare tutta, in un’economia liberale non si mandano gli ispettori ministeriali per controllare l’uso dei fondi pubblici. Più semplicemente, si limitano ai minimi termini tali erogazioni. In Italia esiste una mangiatoia, che nessun governo riesce mai a scalfire, per finanziare iniziative dalla dubbia utilità sociale. Si va dal sostegno alle sagre paesane ai sussidi in favore di cinema, teatri, musei nel nome della tutela dei territori, del terzo settore, del sostegno alla cultura e ogni altra scempiaggine ripetuta a pappagallo per mantenere sacche di clientelismo diffuso a tutti i livelli.
Meno fondi pubblici, non ispettori
Un governo conservatore deve provvedere a tagliare i fondi pubblici senza guardare in faccia nessuno, anche se appare irrealistico azzerarli. Anche se questa norma entrasse in vigore e funzionasse, non risolverebbe il problema di abusi da parte di coloro che ricevono importi dallo stato inferiori ai limiti fissati. Centomila euro possono sembrare pochi per un bilancio pubblico, ma per chi li ottiene è tanta roba.