Il 25 ottobre scorso, i ministri delle Finanze del G7 si sono incontrati a Washington, dove hanno confermato l’erogazione del prestito all’Ucraina da 50 miliardi di dollari. Il consesso è stato presieduto da Giancarlo Giorgetti, poiché l’Italia è quest’anno presidente di turno. Gli aiuti saranno sborsati a partire dall’1 dicembre prossimo e fino al 31 dicembre del 2027, si legge nel testo del comunicato finale. L’erogazione avverrà tramite rate in base alle esigenze finanziarie di Kiev. Aspetto delicatissimo e il più controverso sul piano tecnico e giuridico ha riguardato l’addossamento degli oneri alla stessa Russia.
Dubbi su riserve russe congelate
A tale proposito, il G7 ha ribadito che tali riserve resteranno “congelate” fino a quando la Russia non cesserà la guerra nei confronti della nazione aggredita e non la indennizzerà per i danni provocati. Nel testo non c’è alcun riferimento alla collateralizzazione del prestito all’Ucraina con l’emissione di un bond. Il problema non è marginale, bensì politico. Gli aiuti dall’Ucraina saranno restituiti verosimilmente in un periodo di tempo molto lungo. Supponiamo che fossero venti anni. Come si farebbe a tenere le riserve russe immobilizzate per tutto questo tempo? Dal congelamento si passerebbe all’esproprio vero e proprio e sul piano del diritto internazionale l’operazione risulterebbe non solo controversa, ma potenzialmente un boomerang per la capacità attrattiva dell’Europa rispetto ai capitali esteri.
Credibilità UE in gioco
L’accelerazione è arrivata a ridosso delle odierne elezioni americane. Un’eventuale vittoria di Donald Trump rimetterebbe tutto in discussione. Perché è vero che l’Unione Europea potrebbe sempre fare da sé, ma se cambia il contesto in cui si agisce, non avrebbe più senso prorogare il sequestro delle riserve russe.
La vicenda rischia di assumere i contorni del giallo, se non di una vera e propria figuraccia europea. Se dopo il comunicato di pochi giorni fa, alle parole non seguissero i fatti, la credibilità di Bruxelles andrebbe a farsi benedire. In teoria, il prossimo presidente s’insedierà solamente il 20 gennaio del 2025. Ma inutile girarci attorno. Dal giorno in cui avviene l’elezione, la politica estera passa nelle mani del vincitore. E Trump ha espresso idee fortemente in contrasto con quelle dell’attuale amministrazione di Joe Biden. Egli vuole porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina, tra l’altro allacciando un rapporto diretto con Vladimir Putin.
Prestito Ucraina appeso alle elezioni Usa
Difficile immaginare che avallerebbe il prestito all’Ucraina, il quale non farebbe che indisporre il Cremlino per le modalità dell’erogazione. E allo stesso tempo, secondo la visione trumpiana, favorirebbe la prosecuzione del conflitto. Senza aiuti – questo è il suo ragionamento – il presidente Volodymyr Zelensky sarebbe costretto a trovare una tregua. Il destino di questa operazione è tutta appesa ai risultati elettorali delle prossime ore. Se vince Trump, probabile che non se ne farà concretamente nulla. Con Kamala Harris sarebbe tutta un’altra storia.