La manovra di Bilancio adesso ha un suo testo. Era tanto atteso e dal 15 ottobre finalmente la manovra ha un testo basato su 144 articoli su diversi argomenti. Ora la manovra è arrivata alla fase degli emendamenti dei gruppi parlamentari. Che possono rappresentare proposte di correzione o nuovi provvedimenti da inserire al suo interno. La fase è molto importante.
Anche perché già sono emersi alcuni punti di intervento che alcuni partiti della maggioranza vorrebbero attuare sulla manovra. La stessa che solo poche settimane fa il Consiglio dei Ministri ha licenziato favorevolmente.
Tutte le novità della legge di Bilancio per il capitolo pensioni
Tre misure scadevano il 31 dicembre 2024 e tre misure verranno riconfermate dal governo. Almeno stando al testo della manovra licenziato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 15 ottobre. L’Ape sociale, con la sua pensione a partire dai 63 anni e 5 mesi di età, per esempio, è una misura che sicuramente sarà confermata nel 2025. Potranno lasciare il lavoro con 30 anni di contributi i caregiver, i disoccupati e gli invalidi. E potranno lasciare il lavoro con 36 anni di versamenti gli addetti ai lavori gravosi.
Misura come sempre priva di tredicesima, indicizzazione, reversibilità, assegni familiari e maggiorazioni, e mai superiore a 1.500 euro al mese. Con in più il divieto di cumulare i redditi da pensione con i redditi da lavoro. Fatta eccezione per il lavoro autonomo occasionale fino a 5.000 euro di reddito annuo.
Le altre due misure prorogate in legge di Bilancio per il 2025
Stesso limite alle attività di lavoro eventuali oltre la pensione per la quota 103, che è l’altra misura confermata dalla legge di Bilancio. Anche nel 2025 dovrebbe essere ammessa l’uscita a 62 anni di età con almeno 41 anni di contributi e pensione calcolata con il sistema contributivo.
La misura consentirà le uscite dal lavoro a 61 anni di età e con 35 anni di versamenti a invalide e caregiver senza figli avuti. Oppure a 60 anni di età con 35 anni di contributi a invalide e caregiver con un solo figlio. O ancora a 59 anni con 35 anni di versamenti a caregiver e invalidi con più di due figli avuti. E a licenziate o addette di imprese in crisi a prescindere dai figli. Anche in questo caso la misura continua ad essere contributiva e con requisiti anagrafici e contributivi da completare entro il 31 dicembre dell’anno precedente.
Legge di Bilancio e pensioni: le 7 novità introdotte e quelle che potrebbero aggiungersi
La quarta novità introdotta dalla legge di Bilancio è l’applicazione di uno sconto maggiore in base ai figli avuti, sull’età anagrafica delle pensioni di vecchiaia. Infatti, se fino ad oggi le lavoratrici potevano ridurre i 67 anni di 4 mesi per figlio avuto fino a un massimo di 12 mesi, uscendo anche a 66 anni di età sempre con 20 anni di contributi, nel 2025 si cambia.
Adesso lo sconto massimo sale a 16 mesi per chi ha avuto 4 o più figli, permettendo così l’uscita anche a 65 anni e 8 mesi. Quinta novità è la possibilità di accedere alla pensione di vecchiaia come contributivi puri raggiungendo l’importo soglia della prestazione non inferiore al valore dell’assegno sociale, utilizzando anche la rendita eventualmente maturata dalla previdenza integrativa.
In effetti, chi ha il primo versamento successivo al 31 dicembre 1995, per andare in pensione a 67 anni di età con 20 anni di versamenti, deve raggiungere una pensione non inferiore all’assegno sociale. Chi non ci riesce con ciò che ha versato alla previdenza obbligatoria potrà così utilizzare eventualmente la rendita dal fondo integrativo.
Incentivi a chi rimane in servizio
Altre novità sono la proroga del bonus contributivo (cosiddetto Bonus Maroni) per chi, anche se ha raggiunto i requisiti per la pensione di quota 103, cioè 41 anni di versamenti e 62 anni di età, decide di restare a lavorare ancora. In pratica, la parte di contribuzione a carico del lavoratore, anziché essere trattenuta dal datore di lavoro e versata all’INPS, viene lasciata in busta paga, che così aumenta di importo. E lo stesso vantaggio viene esteso anche alle pensioni anticipate ordinarie.
In pratica, anche chi raggiunge i 42 anni e 10 mesi di versamenti se uomo, o 41 anni e 10 mesi di versamenti se donna, e decide di non andare in pensione, può godere di questo vantaggio restando a lavorare. Ultima novità del governo riguarda chi la pensione la prende già ma ha un trattamento integrato al minimo. Per queste pensioni ci sarà una rivalutazione annuale pari al 2,2% per il 2025 e all’1,3% per il 2026.
Ecco alcune ulteriori novità che potrebbero fare capolino in manovra
Gli emendamenti non sono altro che proposte di integrazione, correzione e completamento delle misure introdotte con la legge di Bilancio. Ed è proprio grazie agli emendamenti che a volte un testo di una legge di Stabilità subisce le più significative modifiche da come è stato varato inizialmente a come viene approvato definitivamente. Sulle pensioni, per esempio, già ci sarebbero delle proposte di rivedere in aumento quanto destinato alle minime.
Infatti, dopo le manifestazioni dei pensionati della CGIL che lamentano aumenti di soli 3 euro al mese sulle minime, ecco che Forza Italia sta verificando la possibilità di proporre un incremento di questi aumenti per il 2025. Estendere la possibilità di usare la previdenza integrativa anche per le pensioni anticipate contributive è un’altra ipotesi che sta prendendo piede adesso con la legge di Bilancio alle Camere.
Perché è necessario sostenere i lavoratori il cui primo accredito è successivo al 1995, per superare la soglia minima di pensione da centrare a 67 anni per uscire con solo 20 anni di contributi (minimo pari all’assegno sociale).
Ma andrebbero sostenuti a maggior ragione quelli che puntano alle uscite a 64 anni di età con 20 anni di contributi. Perché le pensioni anticipate contributive prevedono un importo soglia non inferiore a 3 volte l’assegno sociale, scontato di poco per le donne con figli avuti (2,6 volte l’assegno sociale per le donne con più figli avuti e 2,8 volte per le donne con un solo figlio).
Non c’è equità sulle pensioni, perché chi ha versato contributi prima del 1995 deve per forza attendere i 67 e più anni di età , senza tener conto che ad una certa età lo stress da lavoro correlato, porta le persone verso le più svariate sindrome di ansia e depressione, ci vuole una riforma urgente,equa e sostenibile perché se si vuole si può.