E’ di notizia della scorsa settimana, secondo cui un fondo pensione britannico avrebbe investito in Bitcoin 65 milioni di dollari, circa il 3% del suo intero patrimonio. L’obiettivo consiste evidentemente nell’offrire ai clienti un rendimento più alto rispetto a quello incassato acquistando asset class tradizionali. Si tratta ancora di casi isolati, in quanto i fondi pensione continuano a tenersi alla larga dal mercato delle “criptovalute”. La prima ragione è la diffidenza innata verso un asset ancora relativamente nuovo e fino a pochissimo tempo fa disprezzato all’unanimità dal mondo della finanza tradizionale.
Con la vittoria di Donald Trump, l’entusiasmo nel mondo crypto vola. Bitcoin ha toccato nuovi massimi storici e si avvia a raggiungere i 90.000 dollari. Prima delle elezioni americane viaggiava sotto 70.000 dollari sulla scommessa che avrebbe vinto il repubblicano, diventato sponsor del nuovo business.
Enormi masse potenziali da investire in Bitcoin
Se i fondi pensione decidessero di destinare agli investimenti in Bitcoin anche solo l’1%, sarebbe un evento “disruptive”. Nel 2023, i primi 300 per masse gestite detenevano 22.600 miliardi di dollari, un dato in crescita del 10% sull’anno precedente. Si riverserebbero sulla criptovaluta più popolare e diffusa al mondo qualcosa come sui 250 miliardi ai valori attuali, intorno al 15% dell’odierna capitalizzazione. Ma l’impatto sarebbe di gran lunga più gigantesco. Al solo annuncio che i principali fondi pensione investissero, Bitcoin esploderebbe sulle piattaforme exchange. Riceverebbe finalmente quel riconoscimento che ancora gli manca per essere considerato un asset alla pari di azioni, obbligazioni, materie prime ed oro.
I fondi pensione hanno un orizzonte temporale molto lungo, in quanto investono a favore di clienti che puntano ad accantonare risorse per ottenere una rendita dopo decenni.
Tra rendimenti stellari e rischi reputazionali
Bitcoin sarebbe un affare per i futuri pensionati. Sebbene guardare all’indietro non serva quasi a niente, ci può aiutare a capirne le potenzialità anche future. Solamente negli ultimi cinque anni, le quotazioni sono schizzate del 930%. Investendovi 1.000 dollari nell’autunno del 2019, oggi avremmo in portafoglio 10.300 dollari. Pensate se i fondi pensione ci avessero creduto in passato: anche solo impiegando l’1% delle loro masse, avrebbero offerto un rendimento medio lordo annuo aggiuntivo vicino allo 0,60%.
Se continuano ad ignorare le potenzialità di Bitcoin, è perché temono per la loro reputazione. Questo è un mercato ancora poco conosciuto ed apprezzato tra il grande pubblico. Tanto per fare un esempio, in Italia ammontavano solamente a 2,2 miliardi di euro al 30 giugno scorso gli investimenti italiani ed effettuati da 1,3 milioni di persone. La diffusione è ben maggiore negli Stati Uniti, dove risulterebbero in 56 milioni i possessori di criptovalute, quasi una persona su cinque.
Fondi pensione, rivoluzione vicina?
C’è il rischio che, anche solo comunicare al pubblico di avere destinato una minuscola quota dei propri investimenti in Bitcoin, i fondi pensione ricevano la disapprovazione dei clienti con la corsa al ritiro dei capitali. Probabile, quindi, che si butteranno nell’affare dopo che le realtà più coraggiose che avranno gettato per prime il cuore oltre l’ostacolo, mostreranno i migliori risultati conseguiti proprio a favore della clientela. Immaginate se un piccolo fondo X riuscisse a maturare rendimenti netti nell’ordine del 6-7% all’anno, anziché del 3-4% medio del mercato. A quel punto, sarebbero gli iscritti a reclamare un cambio di policy.