Nella giornata di ieri, Banca Bper ha collocato sul mercato un’obbligazione perpetua del tipo Additional Tier 1 per l’importo di 500 milioni di euro. Elevati gli ordini, che hanno superato l’ammontare di 3 miliardi, oltre sei volte l’offerta. Gli investitori istituzionali interessati, categoria a cui il bond è stato riservato, sono stati 230.
Cedola rideterminata dal marzo 2030
Quali sono state le condizioni fissate dall’emittente? L’obbligazione perpetua pagherà una cedola fissa annuale del 6,50% lordo (4,81% netto) fino al 20 marzo 2030 con corresponsione semestrale.
Dunque, l’obbligazione perpetua di Bper non sarà mai a tasso variabile, ma semmai dopo il 20 marzo 2030 sarebbe rideterminata nel caso di mancato rimborso del capitale. C’è il rischio di perdere tutto l’investimento, in quanto l’emittente ridurrà il valore nominale del bond nel caso in cui il CET1 dell’istituto scenda sotto il 5,125%. Trattasi del cosiddetto patrimonio di vigilanza.
Rischi per investitore
Ad essersi occupati dell’emissione sono state Barclays e Ubs in qualità di joint scructuring advisor, global coordinator e joint bookrunner. Bnp Paribas, Deutsche Bank, Mediobanca e Morgan Stanley hanno agito in qualità di joint bookrunner.
L’obbligazione perpetua non ha chiaramente una scadenza, per cui Bper può anche decidere di non rimborsare mai il capitale alle date di reset indicate nel prospetto informativo. In genere, tuttavia, gli emittenti di questi particolari strumenti finanziari lo fanno per ragioni reputazionali. L’investitore corre diversi rischi. In primis, le autorità di vigilanza possono vietare all’emittente di pagare le cedole in situazioni di stress finanziario. E le cedole non pagate non sarebbero più recuperate.
Obbligazione perpetua, rimborso incerto
Un altro rischio dell’obbligazione perpetua riguarda per l’appunto il mancato rimborso alla data di reset del 20 marzo 2030. Ciò diverrebbe un evento teoricamente più probabile se i tassi di mercato in quel periodo risultassero superiori ai costi che Bper affronterebbe continuando a pagare le cedole. In pratica, se l’istituto vedesse ampliati gli spread rispetto alla situazione odierna, gli risulterebbe più vantaggioso decidere di effettuare il rimborso più in là o, sempre teoricamente, anche mai. Infine, proprio perché il rimborso nel marzo 2030 può non avvenire, l’investitore si espone al rischio di tassi. Se questi scendessero, riceverebbe una cedola ben inferiore del 6,50% goduto fino ad allora.