Di male in peggio l’economia tedesca, che solamente per una questione più statistica che di sostanza ha evitato la recessione formale nel terzo trimestre. L’indice PMI per i servizi è sceso a novembre a 49,4 punti dai 51,6 di ottobre, ai minimi dal febbraio scorso. Una discesa sotto i 50 punti segnala la contrazione dell’attività, mentre sopra i 50 il settore è in crescita. Ancora peggiori i numeri relativi alla manifattura: PMI in lieve risalita a 43,2 punti dai 43 di ottobre, ma pur sempre molto al di sotto dei 50 punti, livello che non raggiunge ormai dal lontano luglio del 2022.
Non solo economia tedesca in panne
E se l’economia tedesca invia segnali raggelanti, non è da meno quella francese. Servizi scesi a 45,7 punti e manifattura a 43,2 punti. L’indice composito crolla così a 44,8 punti. Si prospetta un calo del Pil anche in Francia per questo ultimo trimestre dell’anno, dopo l’accelerazione a sorpresa nel terzo, trainata dai Giochi Olimpici di Parigi.
Pressioni inflazionistiche accelerano a novembre
C’è da preoccuparsi per la situazione in Germania, in particolare. A Berlino si sta consumando una grave crisi politica, con il cancelliere Olaf Scholz che sarà sfiduciato dal Bundestag il prossimo 16 dicembre. Si andrà ad elezioni anticipate con ogni probabilità il 23 febbraio. Per altre tre mesi i tedeschi saranno in campagna elettorale. Cosa peggiore, non si prospetta la formazione di un nuovo governo stabile neanche dopo. La Banca Centrale Europea (BCE) dovrebbe tagliare i tassi di interesse per una quarta volta anche a dicembre, ma non può permettersi mosse azzardate.
Se è vero che l’intera Eurozona sia in panne, dalla Germania arriva un segnale negativo sui prezzi: le pressioni inflazionistiche nel settore dei servizi accelerano a novembre, mentre si riducono nel manifatturiero.
Prossimo governo in Germania senza bussola
La Germania avrebbe bisogno di sostenere l’economia tedesca. Come? Ci sono due alternative: la strada dell’indebitamento per aumentare gli investimenti pubblici, fermi al 3% del Pil, tra le percentuali più basse in Europa; un mix tra tagli alle tasse, liberalizzazioni dei servizi e riduzione del fardello burocratico. Insomma, più debito in barba all’attuale Schuldenbremse costituzionale o riforme. La prima ipotesi diverrebbe più probabile con un governo a guida socialdemocratica, la seconda prevarrebbe con un prossimo cancelliere cristianodemocratico. E, purtroppo, dalle elezioni uscirà una nuova maggioranza ancora una volta né carne e né pesce. Si prevede un’ennesima Grosse Koalition in stile merkeliano, che non affronterà alcun nodo e che darà un colpo alla botte e uno al cerchio. Nessuna direzione, nessuno stimolo credibile alla crescita.
Non solo c’è da essere pessimisti circa la natura del prossimo governo federale, ma tra l’altro i tempi per la sua nascita potrebbero non essere brevi. Nel frattempo, la Germania andrà avanti con l’esercizio provvisorio, non essendo stata in grado di presentare una legge di bilancio per il 2025. Paralisi vera e propria. Come se non bastasse, anche a Parigi c’è impasse politica. Il governo di Michel Barnier non ha alcuna maggioranza in Assemblea Nazionale, si regge sulle astensioni benevole del Rassemblement National di Marine Le Pen.
Economia tedesca trascina Eurozona in stagflazione
L’economia tedesca non è più locomotiva d’Europa da quando c’è stata la pandemia. Il problema è che sta diventando una zavorra. Anziché contribuire positivamente alla crescita dell’area, la frena tra Pil in calo e inflazione ancora alta e forse in ulteriore crescita tendenziale. C’è il serio rischio di una devastante “stagflazione“ nel continente, specie se il prezzo del gas dovesse rimanere ai livelli attuali, tornato ad essere più caro di un anno fa. E anche sul fronte geopolitico l’area non dà segni di vita, stretta tra la posizione dell’amministrazione Biden e quella di tenore opposto a guida Donald Trump.