2 per mille ai partiti: cos’è successo e perché il presidente Mattarella ha bloccato tutto?

Pasticcio in Parlamento sul 2 per mille ai partiti. Il presidente Sergio Mattarella ha bloccato la riforma trasversale.
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Brutta figura per il Parlamento. Il presidente Sergio Mattarella ha bloccato la riforma del 2 per mille ai partiti, che una volta tanto (chissà perché!) aveva visto maggioranza e opposizioni andare d’accordo. Un emendamento al decreto fiscale avrebbe quasi raddoppiato i finanziamenti ai gruppi politici, che sarebbero passati dall’attuale tetto dei 25 milioni a 42 milioni di euro. Il Quirinale ha detto di no, ma senza entrare naturalmente nel merito. Ad avviso del capo dello stato, una simile riforma non contiene caratteri di necessità ed urgenza, per cui va approvata con legge ordinaria.

Inoltre, la materia era disomogenea rispetto al resto del decreto. Insomma, il presidente non ha bocciato la riforma in sé. Si è limitato ad osservare la Costituzione, notando l’evidente forzatura del Parlamento, che voleva far passare una riforma probabilmente impopolare in sordina e senza che nessuno se ne assumesse la responsabilità.

Come funziona il 2 per mille

Cos’è il 2 per mille ai partiti? Permetteteci di compiere un salto all’indietro di una trentina di anni. Tangentopoli rase al suolo la credibilità dei partiti, i quali eliminarono il finanziamento pubblico sull’onda di una richiesta diffusa dal basso. Ma la politica ha i suoi costi come anche solo sponsorizzare un candidato o un gruppo politico sui social o ricorrere a mezzi tradizionali come manifesti pubblicitari e spot radio-televisivi. Per non parlare dell’organizzazione di eventi, manifestazioni, campagne elettorali, ecc. Per una ventina di anni l’Italia visse in una sorta di limbo: niente finanziamenti pubblici ai partiti e nessuna apertura ai finanziamenti dei privati in stile americano.

La materia si prestò a una forte contrapposizione. A sinistra si pensò che aprire ai finanziamenti privati significasse avvantaggiare il centro-destra di Silvio Berlusconi. A destra ci fu la convinzione che sarebbe stato meglio lasciare le cose come erano, perché tanto avrebbe potuto confidare sulle disponibilità finanziare del leader.

E nessuno ebbe il coraggio di dire l’ovvio in pubblico, cioè che i partiti, ergo la democrazia, senza risorse muoiono.

Arriviamo al D.L. 149/2013. I finanziamenti pubblici ai partiti rientrano dalla finestra dopo essere usciti dal portone, ma in modo sommesso. I cittadini possono contribuire donando il 2 per mille dell’Irpef netta da versare allo stato. Le modalità sono simili a quelle previste per l’8 per mille ai culti religiosi, tranne che per due differenze principali: viene imposto un limite massimo di 25 milioni di euro di gettito complessivo, anche se nel 2017 era salito a 45 milioni; valgono solo le scelte dei contribuenti ai fini della ripartizione.

Donazioni ai partiti nel 2023

Spieghiamo un attimo. Quando non doniamo l’8 per mille a una qualche confessione religiosa, lo stato ripartisce ugualmente la somma tra le confessioni iscritte nell’apposito elenco e secondo le percentuali delle scelte effettuate dai contribuenti. Ad esempio, le somme dei contribuenti che non hanno indicato alcuna scelta, vanno per i tre quarti alla Chiesa cattolica, ecc. Questo, perché coloro che decidono di donare, per i tre quarti lo fanno in favore della Chiesa cattolica.

Con il 2 per mille ai partiti non è così. Valgono solo le scelte realmente indicate dai contribuenti. Lo scorso anno, con riferimento ai redditi del 2022, i 25 milioni a disposizione sono stati così ripartiti: Partito Democratico 8,1 milioni, Fratelli d’Italia 4,8 milioni, Lega 1,5 milioni, Movimento 5 Stelle circa 1 milione, Forza Italia 618 mila, ecc. La riforma per ora abortita portava il limite massimo a 42 milioni, ma in cambio abbassava il 2 per mille allo 0,2 per mille. Tuttavia, i fondi sarebbero stati ripartiti anche per le scelte non effettuate, seguendo le percentuali delle scelte indicate. Come avviene con l’8 per mille.

Ripartizione dei fondi con la riforma

Nel 2023, soltanto il 4,2% dei contribuenti espresse una preferenza.

Il restante circa 96% non indicò alcuna scelta. In base alla riforma, il 2 per mille sarebbe stato ripartito per l’intero importo dei 42 milioni, seguendo solo le scelte di quel 4%. In sostanza, i partiti si erano dati un bell’aumento. A parità di preferenze in sede di dichiarazione dei redditi, il PD avrebbe ottenuto 5,5 milioni in più, Fratelli d’Italia 3,3 milioni in più, Lega +1 milione, M5S +0,8 milioni e Forza Italia +0,4 milioni. Insomma, la riforma faceva comodo a tutti, specie a grandi partiti. Tra l’altro, se il trend degli ultimi anni venisse confermato anche nel 2024, il partito della premier Giorgia Meloni assisterebbe a un’ulteriore crescita delle donazioni con il 2 per mille.

Questa riforma in sé non è scandalosa, anche se opinabile. I media ci ricamano su l’ennesimo scandalo della “casta”, ma la verità è che 25 milioni sono pochi per far funzionare il sistema dei partiti. E questi dovrebbero essere più forti e radicati, non depotenziati come vorrebbero in molti. Senza partiti, la classe dirigente si seleziona con criteri opachi e persino indesiderati. Il problema è un altro. Questa riforma non garantisce che i soldi affluiscano a chi effettivamente li meriti. Tutti guadagnerebbero automaticamente per il semplice fatto che la torta da spartire quasi raddoppia e secondo le preferenze esplicite di pochi. Questo non spinge i partiti a radicarsi di più nei territori, perché tanto è sufficiente che i pochi elettori più ideologizzati segnino una X per ottenere i soldi che servono.

2 per mille ai partiti, serve apertura alle donazioni private

Il vero tabù da infrangere sarebbe un altro: anziché escogitare sistemi per riformare il 2 per mille, andrebbero rafforzati i finanziamenti privati. Se un partito non riceve donazioni da alcuna impresa, categoria di rappresentanza sociale o dai privati cittadini, evidentemente è autoreferenziale e non rappresenta nessuno. E’ giusto sapere chi finanzia chi sopra certe cifre, ma è altrettanto giusto che i partiti personali scompaiano, perché spesso sono un ingombro per la vita democratica. I partiti devono tornare ad essere quello per cui sono nati: gruppi di rappresentanza di interessi, anche auspicabilmente interclassisti, ma pur sempre riferimento per strati della società più o meno ampi.

Il canale pubblico andrebbe mantenuto per evitare eccessi di lobbismo, ma non può restare la fonte principale di finanziamento.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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