Con la caduta di Damasco il cerchio si stringe attorno al regime dell’ayatollah Khamenei in Iran. Bashir al-Assad è stato un protégé di Teheran, oltre che di Mosca. Nel giro di poche settimane, gli attacchi di Israele in Libano hanno privato la Repubblica Islamica delle milizie di Hezbollah, ammansito gli Houthi nello Yemen e adesso hanno di riflesso provocato la fine della dittatura siriana dopo oltre mezzo secolo. E la stessa Hamas in Palestina è fortemente indebolita.
Regime in Iran perde alleati e soldi
La questione per il regime dell’Iran è al contempo geopolitica e finanziaria.
Sussidi per l’energia insostenibili
Non si è trattato di un vero prestito, quanto di consegne di petrolio per la media di 75-80.000 barili al giorno, pari a qualcosa come 2-2,5 miliardi di dollari in un anno. Una montagna di passività per Damasco, che si è andata accumulando certamente fino alla fine dello scorso mese, quando risultano essere state concordate consegne. Denaro che è probabile non sarà restituito dal nuovo regime siriano di Mohammed al-Jolani. Esso avrà buon gioco a dichiarare il debito contratto non per il benessere del popolo. A parte il fatto che ammonterebbe a circa tre volte il Pil siriano. Impossibile da onorare.
La Siria è un’economia produttrice di petrolio. Prima della guerra civile, iniziata nel 2011, ne estraeva circa 400 mila barili al giorno. Adesso, meno di 100.000. Considerate le enormi esposizioni finanziarie anche verso Hezbollah, Houthi e altre formazioni paramilitari nell’area, le casse del regime in Iran si sono dissanguate per nulla.
Carburante quasi gratis
Numeri drammatici, che si spiegano con la necessità per lo stato di mantenere la calma sociale offrendo ai cittadini prezzi ridicoli per fare benzina. Un litro costa 80.000 rial, qualcosa come meno di 2 centesimi di dollaro al cambio ufficiale. Se teniamo conto del cambio al mercato nero, fanno 0,11 centesimi. In pratica, il carburante è gratis. Per cercare di ridurre i costi a carico dello stato sono state previste limitazioni quantitative mensili per ciascuna categoria. Ma la verità è che il regime in Iran sa perfettamente che non può permettersi di inimicarsi la popolazione, quando già ha contro gran parte del mondo.
Nel 2019, la triplicazione del prezzo alla pompa scatenò proteste violente. L’inflazione è già al 35% e proprio le stamperie monetarie per finanziare i sussidi, ha spiegato lo stesso presidente, contribuiscono a tenerla alta, danneggiando i redditi più bassi. Nel frattempo, il deficit di bilancio quest’anno sfiorerà il 6% del Pil. Il peggio arriverebbe nel caso in cui l’amministrazione Trump ottenesse che le sanzioni contro il regime in Iran fossero implementate e non più raggirate dagli altri stati, Cina in primis. A rischio ci sono le esportazioni di petrolio, salite a una media di 1,5 milioni di barili al giorno. Tengono in vita l’economia domestica, che per il resto esporta ben poco. Anche solo una discesa delle quotazioni internazionali accrescerebbe la pressione sul Paese.
Inflazione vera minaccia a regime in Iran
Lo stesso cambio svela quanto sia profonda la crisi. A fronte di un tasso ufficiale di 42.100.