C’era una volta l’Europa, quell’area del mondo geograficamente piccola e centrale nel mondo dal punto di vista geopolitico. Le sue tensioni interne coinvolsero gran parte del resto del pianeta, tant’è che il nostro continente fu causa ed epicentro di ben due guerre mondiali. Oggi è un’area ancora economicamente ricca, forse la più avanzata in tema di diritti, ma ai margini dei processi decisionali e senza avere più in mano il proprio destino. I dati si fanno sempre più impietosi.
Segnale devastante in borsa
I mercati finanziari hanno il polso della situazione. Mai prima la valutazione delle aziende quotate in Europa era stata a maggiore sconto rispetto a quelle quotate negli Stati Uniti. Alla fine del 2007, prima della crisi di Lehman Brothers, Wall Street aveva un rapporto tra prezzi e utili (P/E) del 30% più alto della Germania, del 34% della Francia e del 46% dell’Italia. A novembre, risultava più alto rispettivamente del 75%, del 58% e del 155%. Cosa significano questi numeri? Il mercato valuta molto meglio le aziende americane, tant’è che sono disposte ad acquistarle a circa 27,5 volte gli utili annuali. In Europa, restando tra le prime tre economie, si va dalle 17,3 volte per le aziende francesi alle 10 per le italiane, passando per meno di 16 per le tedesche.
Aziende a sconto ed euro debole
In pratica, oggi come oggi un investitore americano trova sempre più appetibile acquistare “a sconto” un’azienda europea. Anche perché il cambio euro-dollaro è debolissimo. E’ passato da quasi 1,60 del 2008 a meno di 1,05. E punta alla parità, sotto cui è sceso già due anni fa per la prima volta dopo una ventina di anni. Questo spiega il boom di turisti americani, ma anche dal resto del mondo in Paesi come Italia, Francia e Spagna.
L’Europa è giustamente preoccupata dei dazi di Trump, perché il mercato americano è essenziale per le sue esportazioni, particolarmente per Italia e Germania. Ma anche questo dato di fatto cela una debolezza di fondo: dipendiamo dal resto del mondo per la nostra crescita. E accanto a una indiscussa competitività delle nostre imprese c’è in misura crescente un problema di carenza di domanda interna. Investiamo e consumiamo poco, perché siamo sempre più vecchi e sempre meno propensi alle innovazioni, salvo subirle ed essere costretti in un secondo tempo ad importarle dall’alleato americano.
Europa senza giganti in borsa
Nel mondo esistono attualmente 10 colossi quotati in borsa con una capitalizzazione superiore ai 1.000 miliardi di dollari. Di questi, 8 sono americani, 1 saudita (Aramco) e 1 di Taiwan (Tsmc). Dobbiamo scendere in 16-esima posizione per trovare un’azienda nata in Europa: Novo Nordisk, colosso farmaceutico danese da 500 miliardi. Dopodiché dobbiamo scorrere fino alla posizione 29 per trovare un’altra europea: la francese Lvmh, 335 miliardi. Sta di fatto che la sola Apple vale quanto l’intera borsa di Parigi e un terzo in più di quella tedesca. Se solo volessero, i principali colossi della Silicon Valley con la loro liquidità potrebbero comprare interi mercati azionari dell’Europa. Abbiamo voglia di pensare che bastino i “golden power” o le minacce sottovoce per evitare di diventare preda di appetiti stranieri. I pesci piccoli prima o poi se li mangiano quelli grossi. O muoiono di malnutrizione.