Giovedì 12 dicembre, la Banca Centrale Europea (BCE) ha annunciato il quarto taglio dei tassi di interesse. Contrariamente a molte delle previsioni, è stato dello 0,25% e non dello 0,50%. Ma il governatore Christine Lagarde ha prospettato esplicitamente ulteriori tagli ai prossimi incontri del board, dichiarando in conferenza stampa che “la direzione è segnata”. Parole che per diversi commentatori hanno implicato un ritorno alla “forward guidance” dell’era Draghi. Ma è davvero così?
Forward guidance, cos’è
Per prima cosa, Lagarde ha spiegato che il Consiglio dei Governatori ha discusso sull’entità del taglio e che alcuni proponevano fosse dello 0,50%, ma alla fine tutti hanno votato per una riduzione dello 0,25%.
Bastano queste poche parole per parlare di “forward guidance”? Anzitutto, spieghiamo cosa sia. Fino al 2022 per molti anni la BCE s’impegnava a mantenere un percorso predeterminato per le sue azioni di politica monetaria. Ad esempio, s’impegnò ad alzare i tassi solamente dopo lo stop agli acquisti di bond per un periodo congruo. Questo approccio servì a orientare il mercato sulla direzione a medio termine, così che nessuno avesse dubbi su quale fosse il percorso dell’istituto.
Svolta nel 2022 con l’inflazione
Con il ritorno dell’inflazione nel 2022 la “forward guidance” viene soppiantata da un approccio “data dependent”. La BCE avrebbe valutato il da farsi riunione dopo riunione, in base ai nuovi dati macro disponibili. Un cambio resosi necessario per la veloce evoluzione in corso con il boom dei prezzi al consumo. Ora che Lagarde ha praticamente annunciato futuri tagli dei tassi, per molti saremmo tornati all’era Draghi.
Reazione negativa del mercato
Questa non è una “forward guidance”, bensì la preparazione a un cambio di impostazione monetaria, non di metodo. E sarebbe persino grave se lo fosse. Significherebbe che il mercato non abbia compreso ciò che la BCE intendesse comunicare. In effetti, dalla riunione i rendimenti sovrani sono risaliti e gli spread si sono allargati. Il Bund a 2 anni, che capta le aspettative sui tassi, è passato dall’1,96% al 2,06%. Lo spread BTp-Bund a 10 anni era a meno di 108 ed è arrivato a 115 punti base. Strano che gli investitori vendano bond proprio mentre la BCE si vincolerebbe a tagliare i tassi per il periodo successivo.
La verità è che la BCE procrastina l’approccio “data dependent” sulle incertezze relative ai prossimi mesi. La situazione geopolitica è più magmatica che mai e può avere ulteriori riflessi sui prezzi di materie prime come petrolio e gas. Tra un mese c’è l’insediamento di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti e la minaccia di dazi già deprime l’umore delle imprese europee. Infine, Germania e Francia versano in una condizione di precarietà politica, per usare un eufemismo. Tutti aspetti che vanno considerati prima di vincolarsi ad un percorso sui tassi.
Forward guidance non c’è
D’altra parte il cambio euro-dollaro resta debole e sotto 1,05, a segnalare la divergenza monetaria crescente con la Federal Reserve. Non siamo alla “forward guidance”, semplicemente perché la BCE è in balia degli eventi esterni. Lagarde non ha la forza e l’autorevolezza per imporre il proprio pensiero al resto del board.