Ragionare sui pro e i contro di una determinata misura, quando si parla di pensioni, tasse e lavoro, è sempre complicato. Le situazioni possono essere variabili e differenti da persona a persona. E, naturalmente, anche noi ci accodiamo a questa teoria, nel senso che non possiamo certo stabilire se sia conveniente fare questa mossa in vista della pensione futura oppure no.
Certo è che, quando si parla di pensioni, tasse e lavoro, e si discute di destinare il TFR ai fondi pensione integrativi, come qualcuno suggerisce oggi, i vantaggi a prima vista sembrano notevoli.
“Buonasera, sono un uomo di 56 anni, lavoratore dipendente da quando ne avevo 18. Sto ragionando sul futuro e mi chiedevo se fosse una cosa saggia destinare il mio TFR a un fondo pensione privato anziché fare come ho sempre fatto, cioè lasciarlo all’azienda per cui lavoro. Premetto che il TFR di cui parlo è di una decina di anni, visto che i lavori precedenti, con altri datori di lavoro, mi hanno già liquidato il loro TFR quando ho interrotto il rapporto di lavoro. Visto che si parla di vantaggi e di pensioni anticipate grazie ai fondi pensione integrativi, mi chiedevo se fosse il caso di pensarci. Ma sono dubbioso.”
Pensioni, tasse e lavoro, ecco cosa succede a destinare il TFR ad un fondo pensione
Il TFR (acronimo di trattamento di fine rapporto) è una parte di retribuzione che, mese dopo mese, il lavoratore subordinato accantona per la cessazione del rapporto di lavoro. In pratica, è un accantonamento mensile che, alla fine del rapporto (o con qualche sporadica possibilità di anticipo), il lavoratore percepisce. Molti lo chiamano buonuscita o liquidazione, ed è uno strumento attivo da moltissimi anni, essendo nato nel 1927.
Il TFR è tornato di stretta attualità in queste settimane. Tutto nasce dal fatto che, nella legge di Bilancio, il governo ha deciso di inserire una misura che consentirebbe di andare in pensione prima grazie alla previdenza integrativa. Ma che cosa c’entra il TFR con la previdenza integrativa?
Ecco cosa è successo adesso dopo la legge di Bilancio tra pensioni a 64 anni e TFR
Pensioni, lavoro e tasse sono argomenti che interessano la generalità dei contribuenti italiani. E ogni notizia su queste materie desta sempre grande interesse. Non fa eccezione la possibilità di pensione a 64 anni di età, con 25 anni di contributi, che dal 2025 diventerà una soluzione in più per accedere alla quiescenza.
La misura in questione non è altro che una variante della pensione anticipata contributiva, ossia qualcosa riservato a coloro che hanno il primo accredito contributivo successivo al 31 dicembre 1995.
La pensione anticipata contributiva destinata a questi soggetti prevede tre requisiti principali:
- Età anagrafica non inferiore a 64 anni.
- Almeno 20 anni di contributi da maturare.
- La pensione, al momento della liquidazione, deve essere pari o superiore a 3 volte l’assegno sociale (con vincolo ridotto per le lavoratrici madri: 2,8 e 2,6 volte l’assegno sociale, rispettivamente per chi ha avuto un figlio e per chi ne ha avuti due o più).
Come arrivare alle giuste soglie di pensione per uscire a 64 anni di età
Raggiungere importi di pensione superiori a 1.400 euro e persino oltre 1.600 euro al mese (per uomini o donne senza figli) può risultare complicato. Ecco quindi la trovata del governo: inserire nel computo della pensione liquidata anche l’eventuale rendita da previdenza complementare. Tuttavia, in questo caso, non bastano 20 anni di versamenti all’INPS, perché la norma alza a 25 anni la soglia.
Adesso si potrà andare in pensione con la pensione anticipata contributiva raggiungendo gli importi minimi, sommando la pensione INPS a quella proveniente dai fondi pensione.
Una facoltà del dipendente quindi, ma con il meccanismo del silenzio assenso che di fatto manda al fondo pensione il TFR in caso di mancata opzione.
Il TFR al fondo pensione integrativo non è una novità appena introdotta: dal 2005, con il decreto legislativo n. 252, sulla riforma della previdenza complementare, è stata prevista la possibilità per il lavoratore subordinato di destinare parte o tutto il TFR ai fondi pensione. È dunque una facoltà del dipendente. Ma con il meccanismo del silenzio assenso che, di fatto, trasferisce il TFR al fondo pensione in caso di mancata opzione.
Ecco i vantaggi su pensioni, tasse e lavoro con il TFR spostato ad un fondo pensione
Il vantaggio previdenziale di versare più soldi al fondo pensione – e quindi arrivare più facilmente alla pensione anticipata contributiva (64 anni di età e 25 di contributi) – non è l’unico motivo per scegliere questa strada. Come detto in premessa, si parla di vantaggi legati a pensioni, tasse e lavoro. Ed è per questo che destinare il TFR a un fondo pensione potrebbe essere vantaggioso da molteplici punti di vista.
I dati, però, mostrano che solo un terzo dei lavoratori utilizza la previdenza complementare. Forse per scetticismo verso le novità o per carenza di informazioni, molti continuano a lasciare il TFR all’azienda. Nelle imprese con meno di 50 dipendenti, rimane nel bilancio aziendale. In quelle più grandi, il denaro viene destinato alla Tesoreria INPS.
Rendimenti, tasse e agevolazioni, ecco alcuni vantaggi
Dal punto di vista della maturazione del capitale, occorre notare che, quando il TFR viene lasciato all’azienda, la rivalutazione segue un tasso misto. Una quota fissa (1,5%) e una quota variabile (il 75% dell’inflazione ISTAT annua).
Secondo alcuni studi, invece, il TFR destinato ai fondi pensione può maturare in media rendimenti vicini al 5% annuo.
I rendimenti degli investimenti gestiti dai fondi pensione godono di una tassazione agevolata, al 12,50% per i titoli di Stato. E al 20% per gli altri tipi di investimento. Inoltre, al momento della liquidazione, che può avvenire come rendita o come liquidazione unica, le imposte sono più basse. E possono scendere fino al 9% per chi ha versato nel fondo per almeno 15 anni. O ha tenuto il fondo attivo per lo stesso periodo.