Tra meno di una settimana Donald Trump sarà ufficialmente il 47-esimo presidente degli Stati Uniti e i governi europei sono costretti a fare buon viso a cattivo gioco. I toni quasi sprezzanti che accompagnarono la sua prima elezione nel 2016 nel Vecchio Continente non si odono più. Non perché sia cambiata l’opinione verso il tycoon, bensì per le condizioni geopolitiche profondamente differenti da allora. A Bruxelles non sono mai piaciuti toni e modi del prossimo inquilino alla Casa Bianca, ma non sono le etichette a dividere i due lati dell’Atlantico.
Trump distrugge i falsi miti europei
Trump è per i governi europei lo specchio che li costringe a guardarsi in faccia. Per decenni l’Europa ha navigato a vista, priva di una visione strategica e confidando sul mantenimento dello status quo. Mentre la Cina avanzava tra le economie mondiali fino e gli Stati Uniti continuavano a correre, l’Unione Europea si è accontentata di restare ferma. Che equivale ad andare indietro, se tutti gli altri vanno avanti.
Non c’è stata alcuna capacità di guardare avanti. I governi europei sono stati occupati per lunghi decenni a parlare di Patto di stabilità, di tetto al deficit, di output gap e altre cialtronerie degne di un continente in pieno declino mentale, oltre che economico. Hanno quasi foraggiato un pacifismo di maniera nella convinzione che gli Stati Uniti sarebbero rimasti eternamente il poliziotto del mondo, vale a dire i nostri guardiani contro le minacce esterne. Salvo criticarne la bellicosità per esibire una superiorità morale palesemente ipocrita.
Com’è andata avanti (si fa per dire) l’Europa negli ultimi 30 anni? Esportando negli Stati Uniti, senza i quali la nostra bilancia commerciale risulterebbe tutt’al più in pareggio, ma più probabilmente in perdita. La domanda interna era e resta debole? Chi se ne frega! Tanto ci sono gli americani che comprano i prodotti che le nostre imprese non riescono a vendere sui mercati domestici.
Svelate ipocrisie d’Europa
Anche sulla Groenlandia Trump ha messo il dito nella piaga. Rivendicando il diritto di acquistare l’isola controllata dalla Danimarca, ha svelato un’altra inconsistenza dei governi europei. Questi si affannano a mostrarsi equi e solidali, a parole non perdono occasione per rimarcare il loro terzomondismo, ma alla fine si tengono stretti quei territori ben lontani dal continente e senza saperne sfruttarne le potenzialità economiche e di natura geopolitica. A dimostrazione di quanto forte sia ancora un certo sciovinismo, coperto da parole vacue.
La minaccia dei dazi richiama tutti alla necessità di dotarsi di una politica economica che non si traduca nella semplice dipendenza dalla congiuntura americana. La richiesta di Trump agli alleati NATO di aumentare le spese militari al 2% del Pil (soglia ora alzata al 5%) pone fine all’ipocrisia pseudo-pacifista con cui l’Europa ha per decenni foraggiato l’opinione pubblica. Infine, la stessa Groenlandia è la dimostrazione dell’assenza di visione strategica dei governi europei. I quali non a caso detestano il tycoon per averne svelato l’inconsistenza.
Governi europei impotenti per assenza di visione
D’altra parte, la sfiducia verso l’establishment europeo dipende in larga parte da anni dalla presa d’atto di larghi strati della popolazione che i governi europei non contino un bel nulla nel mondo. Essi appaiono eterodiretti, incapaci di rappresentare gli interessi delle nazioni che ufficialmente li hanno eletti. La parte del discorso più complicata riguarda le cause di tale impotenza e sudditanza.
Siamo alla mercé dei desiderata di Washington, perché non possediamo una visione geopolitica autonoma. E checché ne dicano i complottisti, tutto ciò si deve allo spirito decadente di noi europei di questo tempo, cresciuti nella vana speranza di poter subappaltare dalle produzioni inquinanti alla sicurezza, continuando a vivere in pace e nel benessere e immaginando di contare ancora qualcosa nel mondo di oggi. L’impotenza dei governi europei è figlia di una cultura dell’opulenza senza oneri di cui ci siamo imbevuti per molto tempo. Ora che Trump ci chiede di pagare dazio, lo detestiamo.