Il giuramento di Trump ha svelato l’ipocrisia delle multinazionali sull’ideologia woke

Le stesse multinazionali che per anni hanno propinato l'ideologia woke per puro marketing, applaudono ora il nuovo corso di Trump.
5 ore fa
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Ideologia woke smantellata dalle stesse multinazionali
Ideologia woke smantellata dalle stesse multinazionali © Licenza Creative Commons

La cerimonia del giuramento del presidente Donald Trump al chiuso nel Campidoglio a Washington ha avuto un merito sopra ogni altro: ci ha svelato con un solo colpo d’occhio quanto sia ipocrita il mondo delle multinazionali, del business in generale. A presenziare all’evento c’erano tutti gli uomini e le donne forti dell’America che conta. Da Mark Zuckerberg a Jeff Bezos, da Elon Musk a Tim Cook, non mancava quasi nessuno della Silicon Valley. Ed è stato comico notare che gli ormai ex esponenti dell’ideologia woke applaudissero il tycoon che prometteva il ritorno a due soli sessi (“uomo e donna”) e la fine del Green Deal.

Ideologia woke al capolinea tra le multinazionali

Già prima del giuramento la Big Tech (e non solo) si era convertita al nuovo corso. Zuckerberg, ex nemico di Trump al punto da averlo bandito per anni da Meta (ex Facebook), non solo ha ammesso candidamente di essere stato costretto dall’amministrazione Biden a censurare i contenuti degli utenti, ma ha anche annunciato la fine del “fact checking” subappaltato a organizzazioni terze. E subito dopo ha posto fine anche alle politiche di “inclusion and diversity”, quelle menate per cui le selezioni dei candidati avvenivano su basi tecniche e che hanno instaurato un clima di terrore tra colleghi e dirigenti per via di un “politically correct” grottesco.

E mentre anche un altro ex nemico di Trump – Bezos – ha imposto un parziale cambio di linea editoriale al suo Washington Post, tanto da averne impedito l’endorsement a favore di Kamala Harris, il sistema finanziario non è rimasto a guardare. Persino BlackRock, principale fondo obbligazionario al mondo con circa 11.500 miliardi di dollari di masse gestite, annunciava tramite il suo potente CEO, Larry Fink, di abbandonare il club del Net Zero Asset Managers. Questi è una realtà che si prefigge di perseguire politiche di emissioni zero di CO2.

Ritorno al senso comune

Con una fretta a dir poco inimmaginabile fino a pochi mesi fa, tutte le grandi realtà multinazionali americane hanno segnalato di voler prendere le distanze dall’ideologia woke che avevano propagandato per un decennio. Ipocrisia allo stato puro. Per molto tempo un gruppetto di CEO aveva preteso di insegnare al mondo come dovesse vivere. Tra ambientalismo da salotto e sensibilità multi-gender sembrava impossibile scalfire un sistema finanziario che si era alleato con una minoranza estremista dell’arena politica. Sbaglia, però, chi crede che questa conversione improvvisa sia avvenuta a causa di Trump.

La realtà è più complessa. La stessa vittoria del repubblicano è avvenuta a seguito di un rigetto diffuso verso l’estremismo dell’ideologia woke. Perché una cosa è essere sensibili alle minoranze, all’ambiente, al principio di uguaglianza, un’altra è pretendere di negare l’evidenza biologica che un figlio lo possa partorire solo una donna. E cosa dire della “cancel culture”, che aveva portato a una censura asfissiante di film, libri e testi delle canzoni anche del passato remoto, nonché a una rivisitazione di eventi storici e all’abbattimento delle loro tracce nel mondo odierno?

Danni dagli affari politicizzati

Da qualche anno girava a Wall Street il detto “go woke, go broke”, a segnalare il rischio di perdere denaro abbracciando l’ideologia woke. E’ stato il caso di Anheuser-Busch, società produttrice della birra Budweiser, che è rimasta vittima di un crollo delle vendite seguito al boicottaggio dei clienti conservatori. Questi erano rimasti irritati dalla pubblicizzazione della bevanda da parte di un noto influencer transessuale. Anche la catena di supermercati Target aveva accusato un calo di vendite dopo avere disposto sui propri scaffali oggetti legati al mondo gender.

I circoli progressisti erano inizialmente convinti e avevano convinto i CEO delle multinazionali di avere il coltello dalla parte del manico.

Credevano che il mercato premiasse incondizionatamente i sostenitori dell’ideologia woke e che le voci contrarie sarebbero state zittite definitivamente nel nome del business. E’ accaduto un po’ l’inverso dopo una fase iniziale in cui sembravano avere tracciato sul mercato una via senza ritorno.

Ideologia woke non più funzionale al business

Da anni sapevamo tutti quanto fosse diffuso, ad esempio, il rischio di greenwashing, cioè quell’ambientalismo finto con l’unico obiettivo di raccogliere denaro sul mercato a costi bassi. Le immagini dei tycoon che applaudono il presidente Trump mentre percula le loro stesse idee veicolate fino a qualche mese fa, fanno già la storia. Rivelano quanto il business si affidi alla finzione per fidelizzare la clientela. Un gioco che funziona fino a quando le fette di mercato conquistate superano quelle perdute. Ma l’ideologia woke è diventata così estremista da avere provocato in molti casi effetti collaterali superiori ai benefici ottenuti. Il ritorno al “senso comune” non è un inchino del mondo corporate a Trump, bensì la sua liberazione da un incubo che costringeva aziende e dirigenti a seguire mode sempre più insostenibili. E’ stato il mercato a rivoltarsi, castigando anche ai seggi i sostenitori di un impianto ideologico imbarazzante.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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