Generali e Groupe de Banques Populaires et de Casses d’Epargne (Bpce) hanno firmato un memorandum d’intesa non vincolante per la creazione di una società partecipata pariteticamente per la gestione del risparmio. Il gruppo francese fa capo a Natixis, un colosso con masse gestite per 1.200 miliardi contro i 650 miliardi di Trieste. L’operazione, se andasse a buon fine, darebbe vita a un gigante del risparmio gestito in Europa con asset vicini ai 2.000 miliardi. Secondo lo schema sin qui definito, Nicolas Namias, ceo di Bpce, sarà presidente del CDA.
In Generali voci contrarie a intesa con Natixis
A cos’è dovuta l’integrazione? Alle economie di scala che permetterebbero di abbattere di costi e di spuntare migliori soluzioni sul mercato a favore dei clienti. Ma non tutti sono d’accordo sull’operazione. Stefano Marsaglia è stato l’unico componente del comitato investimenti di Generali ad avere votato contro. L’uomo è espressione di Francesco Gaetano Caltagirone, che insieme alla holding Delfin della famiglia Del Vecchio rappresenta l’opposizione interna al Leone di Trieste. I due detengono rispettivamente il 6,9% e il 9,9%.
Le voci critiche lamentano essenzialmente problemi di natura procedurale, come la mancata convocazione dell’assemblea straordinaria per l’approvazione. A loro dire, infatti, Generali si trasformerebbe da compagnia assicurativa a un gestore del risparmio. Inoltre, ci sono perplessità circa la reale natura paritetica della governance con quote del 50% a testa. Infine, non è stata prevista alcuna “exit strategy” nel caso in cui qualcosa andasse diversamente dai piani. Sul contenuto dell’intesa con Natixis non mancano i timori che i risparmi degli italiani finiscano all’estero. Fugati subito da Donnet, che ha definito questa interpretazione “una bufala”.
A dire del francese, la società che nascerebbe dalla fusione con Natixis si limiterebbe a gestire il risparmio su indicazioni di Generali e Bpce.
Spettro golden power
Sull’operazione incombe il rischio della “golden power”. Trattandosi di un asset strategico, il governo avrebbe titolo per intervenire e bloccare l’integrazione. Ci sperano gli azionisti di minoranza in Generali, che al rinnovo del CDA a maggio daranno ancora più battaglia. Nei mesi scorsi si era speculato che l’ingresso dei due nel capitale di Monte Paschi di Siena insieme a Banco BPM fosse avvenuto all’interno di una più ampia strategia tesa a conquistare il controllo del Leone con l’aiuto dell’istituto milanese. I due soci, infatti, posseggono complessivamente il 27,57% di Mediobanca, che a sua volta detiene il 13,10% di Generali e la controlla.
Timori sui risparmi italiani
I 650 miliardi di risparmi gestiti indirettamente oggi dal colosso assicurativo non sono tutti italiani, ma di certo lo sono per larga parte. C’è il serio rischio che prendano altre vie, anziché finanziare il tessuto economico domestico. Le grandi fusioni italo-francesi di questi anni ci hanno insegnato che Parigi non ha alcun rapporto alla pari con i soci privati. Lo abbiamo visto con Stellantis e anche nel caso di EssilorLuxottica. E da anni la finanza transalpina cerca di mettere le mani sui risparmi italiani, tant’è che si è speculato più volte su un interesse proprio verso Generali.
L’uso del “golden power” non sarebbe così agevole come pensiamo. Il governo Meloni non si trova in sintonia con le istituzioni francesi, ma è anche vero che abusare di uno strumento e bloccare operazioni di mercato rischierebbe di offrire un’immagine di chiusura e ostile al business.
Su Natixis pesa il caso Unicredit
E il caso Generali-Natixis s’intreccia con le due operazioni che Unicredit sta portando avanti negli ultimi mesi: su Commerzbank in Germania e Banco BPM in Italia. Se il governo bloccasse l’integrazione con l’asset manager francese, i tedeschi avrebbero gioco facile ad opporsi alla scalata di una loro banca ad opera di una italiana. Non a caso non è arrivato alcun commento ufficiali dai banchi dell’esecutivo. Probabile che la premier Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, decidano di agire nell’ombra. Come? Intavolando una trattativa con Andrea Orcel, CEO di Unicredit. Vorranno capire quali siano le sue intenzioni e magari se abbia interesse a rilevare le quote di Caltagirone e Delfin in Mediobanca o Generali. L’assemblea di maggio sarà un banco di prova dei possibili nuovi equilibri tra soci.