Partecipando al World Economic Forum di Davos, Svizzera, il governatore centrale della nazione ospitante, Martin Schlegel, ha messo in guardia sul possibile ripristino dei tassi negativi. L’uomo, che è al timone della Banca Nazionale Svizzera da quattro mesi ed è succeduto a Thomas Jordan, ha fatto presente che l’istituto non vorrebbe arrivare a una tale soluzione, anzi non la gradisce. Tuttavia, egli non si sente di poterla escludere per il caso in cui l’economia alpina rischiasse di scivolare nella deflazione.
Tassi negativi contro rischio deflazione
Il dato di dicembre ha esitato un’inflazione elvetica in calo allo 0,6%. I tassi di interesse sono attualmente fissati allo 0,50%. In termini reali, i tassi svizzeri risultano già negativi, ma è evidente che Schlegel abbia fatto riferimento agli anni in cui lo furono anche in termini nominali. Il costo del denaro è stato per lungo tempo fissato al -0,75%. Il rischio è legato al franco svizzero, che continua a flirtare con i massimi storici contro l’euro. Il cambio era di 1,70 nell’autunno del 2007, mentre oggi risulta di appena 0,94. La valuta elvetica, considerata un “safe asset”, si è apprezzata dell’80% in questi anni contro la moneta unica.
Franco svizzero nel mirino di Trump
Quella sui tassi negativi può essere considerata la prima risposta della Svizzera alle minacce del presidente americano Donald Trump sui dazi. Nel gennaio di cinque anni fa, poco prima che il Covid portasse alle chiusure in tutto l’Occidente, la Casa Bianca mise proprio il franco svizzero nel mirino, avvertendo che avrebbe adottato ritorsioni commerciali nel caso in cui fosse rimasto così debole contro il dollaro. Rispetto ad allora, oggi il cambio elvetico è del 6% più forte. In assoluto, si tratta di una valuta molto forte, per la Banca Nazionale Svizzera anche “sopravvalutata”.
Ma Trump punta a risanare l’ingente deficit commerciale a colpi di dazi. Con la Svizzera gli Stati Uniti avrebbero chiuso il 2024 in disavanzo di circa 28 miliardi di dollari. Questo dato di per sé si presta per minacciare ritorsioni contro lo stato alpino. Ecco perché Schlegel potrebbe avere giocato d’anticipo. Anziché attendere che il franco svizzero venga inserito nella “black list” del Tesoro americano, ha a sua volta minacciato l’adozione dei tassi negativi come possibile arma negoziale. Essi indebolirebbero il franco, almeno nelle intenzioni, possibilmente neutralizzando l’innalzamento dei dazi a carico delle merci esportate.
Possibile svolta per bond europei
Se la Svizzera facesse scuola sul tema, come la fece già sui tassi negativi nel decennio scorso, l’intera Europa potrebbe seguirla. E ciò segnerebbe una grossa svolta per il mercato dei bond europei. I rendimenti collasserebbero, almeno sul tratto breve delle curve. E i prezzi risalirebbero. C’è una differenza tra Svizzera e resto del continente: l’inflazione nell’Area Euro, così come in economie come il Regno Unito, resta elevata e sopra i rispettivi target delle banche centrali.
Allo stato attuale, i rendimenti svizzeri a dieci anni risultano di appena lo 0,35%. Altro che Bund, che per la medesima scadenza offrono il 2,50%! Un livello bassissimo giustificato non solo da aspettative d’inflazione infime, bensì anche da un cambio atteso forte persino nei prossimi anni; se non in rafforzamento per via delle consuete tensioni geopolitiche nel continente.
Tassi negativi contro Trump?
I tassi negativi furono la risposta di un decennio fa contro il rischio di deflazione, mentre oggi solo Berna sarebbe nelle condizioni di ipotizzare il bis. Ciò non toglie che possano essere usati nelle trattative con Trump. Equivarrebbe a minacciare una svalutazione del cambio contro il dollaro.