C’è stata una nuova emissione da parte della Turchia sui mercati internazionali questa settimana e ha riguardato un bond in dollari della durata di 7 anni (ISIN: US900123DP27). Per Ankara è stata la prima operazione di questo tipo del 2025 con cui ha potuto raccogliere 2,5 miliardi. Nel settembre scorso c’era stata un’emissione record da 3,5 miliardi. La reazione del mercato è stata positiva, tant’è che all’inizio del collocamento il Tesoro si aspettava un rendimento in area 7,50%. Invece, la cedola è stata fissata al 7,125% e il prezzo a 99,593 centesimi, cioè leggermente sotto la pari e per un rendimento annuo lordo del 7,20%. Size minima di 200 mila dollari e incrementi di 1.000, per cui l’emissione non è stata rivolta al mercato retail, bensì a quello istituzionale.
Investitori stranieri più fiduciosi
Con il bond in dollari la Turchia ha voluto aggiungersi alle altre economie emergenti che accorrono all’inizio dell’anno sui mercati internazionali per rifinanziarsi. In questi stessi giorni lo hanno fatto tra gli altri anche Romania e Polonia. L’umore tra gli investitori stranieri è migliorato nell’ultimo anno e mezzo. Governo e banca centrale sono tornati a condurre politiche ortodosse. Il primo sta tenendo a bada il deficit pubblico, sceso al 4,8% del Pil nel 2024 dal 5,2% dell’anno precedente. Per Fitch scenderà al 3,3% quest’anno e al 3% il prossimo.
Rating bassi, inflazione alta
Tra rialzo dei tassi di interesse e svalutazione del cambio l’inflazione resta alta, pur in calo dall’apice del 75% toccato nel maggio scorso. A gennaio è scesa al 42,12%, ai minimi da giugno 2023, ma sopra le stime. Su base mensile, poi, c’è stata una brusca accelerazione dall’1% al 5%, minacciando l’obiettivo dell’istituto di dimezzare l’inflazione per fine anno al 21%. Il governatore Fatih Karahan ha appena iniziato a tagliare i tassi, avendoli portati a gennaio dal 47,5% al 45%. A dicembre erano ancora al 50%.
I bond in dollari della Turchia sono “junk”, cioè di qualità bassa per via dei rating “non investment grade”. Malgrado il basso debito pubblico, che in rapporto al Pil giace sotto il 30%, l’economia possedeva un debito estero per 526 miliardi al 30 settembre scorso.
Di questo, 178 miliardi risultavano a breve scadenza. Le riserve valutarie lorde, invece, ammontano a soli 97,3 miliardi. E ciò, a fronte di partite correnti dai saldi complessivamente negativi, per cui Ankara registra deflussi cronici di valuta estera.
Bond in dollari della Turchia rischiosi
Da considerare che il cambio della lira turca, pur avendo perso il 45% con la svalutazione dal maggio 2023, resta ancora sotto il controllo della banca centrale. Un’eventuale assottigliamento delle riserve porterebbe ad accelerare il tasso di deprezzamento mensile, al fine di recuperare competitività e attirare capitali stranieri. Ma avrebbe un impatto pesante sui conti pubblici, in quanto innalzerebbe il costo del debito estero. E l’inflazione rialzerebbe la cresta. Ecco perché i bond in dollari della Turchia sono una buona occasione per investire, ma a patto di avere presenti gli alti rischi che si corrono inserendoli in portafoglio.