Produzione industriale, crisi senza fine e un rimedio a costo zero

La produzione industriale italiana arretra senza sosta da 23 mesi, ma la crisi parte da lontano e si è aggravata con la guerra.
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Crisi della produzione industriale
Crisi della produzione industriale © Licenza Creative Commons

Di male in peggio per la produzione industriale, che a dicembre ha segnato la 23-esima contrazione consecutiva. Su base annua, un crollo del 7,1% e su base mensile del 3,1%, al netto degli effetti di calendario. E così, nel 2024 abbiamo chiuso con un calo medio del 3,5%. Dati pesanti, perché l’industria incide per circa un quinto del Pil, cioè della ricchezza che produciamo annualmente. Il tonfo ha riguardato particolarmente il settore auto, che a dicembre ha segnato un catastrofico -65% e nell’intero 2024 -43%.

La crisi parte da lontano

L’origine della crisi non è recente. S’intrecciano due tendenze di fondo.

Una più contingente e che ha a che fare con la crisi dell’energia esplosa a seguito della guerra tra Russia e Ucraina. Una più strutturale e che dura da quasi una ventina di anni. Pensate che dal 2007 la produzione industriale italiana è scesa di circa un quarto. Tante le ragioni alla base di questa evoluzione negativa, tra cui la bassa produttività del lavoro e l’alta pressione fiscale sulle imprese.

Urgente deregulation

Reagire alla crisi della produzione industriale non è facile per il semplice motivo che servirebbero denari per potenziare gli investimenti in infrastrutture, tagliare le tasse, ecc. E il governo italiano ha la necessità di ridurre il deficit, non certo di aumentarlo con un debito pubblico già a 3.000 miliardi di euro e sopra il 135% del Pil. Ma c’è una misura che può prendere sin da subito e a costo zero: la deregolamentazione. L’eccesso di burocrazia sega le gambe a chi produce, disincentiva persino a fare impresa. Chi può, scappa per non confrontarsi con uffici pubblici perditempo e con migliaia di leggi incomprensibili.

La “deregulation” di reaganiana memoria passa per l’abbattimento della burocrazia, palla al piede del sistema produttivo italiano.

Questa è il vero freno alla nostra crescita, forse anche più delle stesse alte tasse, non fosse altro perché comporta un aumento dei costi e dei tempi per andare dietro allo stato. Il problema è che la burocrazia si autoalimenta come un mostro. I governi non riescono a disboscarla, in quanto di mezzo ci sono posti di lavoro nei pubblici uffici, cioè voti e fonte di pressione mediatico-politica. Va detto che alla burocrazia nazionale si somma quella comunitaria. E solo di recente si sta prendendo atto dei gravi danni che comporta.

Produzione industriale frenata da PA

La burocrazia sta contribuendo in misura determinante in questi anni ai ritardi nell’implementazione del Pnrr. Abbiamo più di 190 miliardi tra prestiti e sussidi europei, ma ne spendiamo pochi per l’incapacità della Pubblica Amministrazione di gestire le pratiche. Rischiamo di perdere soldi per gli investimenti e ciò non aiuta a risollevare la produzione industriale, che avrebbe bisogno di sostegno della domanda interna e, in particolare, di infrastrutture migliori, specie nel Mezzogiorno. Ecco perché la riforma della PA è senza dubbio la vera madre di tutte le riforme italiane. Ci vorrebbe un DOGE come in America per tagliare i troppi rami secchi che si annidano nei ministeri e che rendono impossibile la vita di cittadini e imprese.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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