Se non ne avete mai sentito parlare, fareste meglio a leggere di cosa si tratti. Le implicazioni di vita quotidiana sono ben più immediate di quanto possiamo immaginare. Agli indiani Dakota è attribuita la cosiddetta “teoria del cavallo morto”, che altro non è una metafora di quando ci intestardiamo a portare avanti nella vita progetti che già si sono rivelati inefficaci. In pratica, quando ti accorgi che stai cavalcando un cavallo morto, la cosa più saggia che dovresti fare è scendere. Elementare, non vi pare? Eppure, capita di rado che questo sia per davvero la prima reazione nel mondo degli affari, in politica o anche nelle vite di tutti noi comuni mortali.
Teoria del cavallo morto in UE
La teoria del cavallo morto spiega che, dinnanzi a una difficoltà, anziché cercare di risolverla alla radice, ci si ostina spesso a portare avanti quale soluzione quella che si è già rivelata inefficace. Tornando alla metafora, anziché scendere dal cavallo, si pretende che questi corra frustandolo di più o pungolandolo, trascinandolo e magari incitandolo. Tutte azioni che non hanno alcun senso, ma che sono il frutto della convinzione di essere nel giusto anche dinnanzi all’evidenza.
Questo discorso c’entra maledettamente con quanto sta accadendo in questi anni all’Unione Europea. Se ci fate caso, i segnali della crisi appaiono evidenti da molti anni. Dopo il 2007, non c’è stato un solo momento in cui le istituzioni comunitarie abbiano segnalato di funzionare. Prima con la crisi dei debiti sovrani hanno svelato tutta la loro inadeguatezza, poi è arrivata la Brexit e poi ancora la pandemia, la guerra e ora Trump. In ogni caso, la colpa diventa sempre di qualcun altro. Il Sud Europa è stato messo in croce per le sue politiche fiscali lassiste, i britannici per essere ottusamente euroscettici, fino ad arrivare all’attuale presidente americano, reo di non capire l’importanza di Bruxelles per l’economia e la potenza geopolitica degli USA.
Non c’è stato un solo attimo in cui l’UE si sia messa in discussione e abbia, se non ammesso, almeno segnalato di capire di avere sbagliato. Al contrario, se i suoi stessi cittadini votano per partiti e candidati critici con l’UE, sono tacciati di ogni nefandezza, tra cui l’essere in preda alla propaganda russa o di Elon Musk o di non avere sufficiente cultura per resistere alle tentazioni del populismo.
Il caso URSS
Fu così che crollò l’Unione Sovietica. L’ex impero comunista aveva una gestione dell’economia pianificata. Obiettivi e risorse venivano decisi e fissati a Mosca, quasi sempre astraendo da richieste e condizioni del mercato. Un’industria non riusciva a raggiungere gli obiettivi prefissati? Le si trasferivano maggiori risorse per consentirglielo entro il periodo (quinquennio, in genere) successivo. In questo modo, gli investimenti venivano concentrati nelle produzioni più inefficienti, l’esatto opposto di quanto sarebbe stato necessario fare.
Ma nell’ex URSS l’autocritica non era concepita.
I piani della dittatura non erano mai sbagliati, semmai era la realtà ad essere considerata tale. E’ stato un caso perfetto di teoria del cavallo morto. Ostinandosi a non vedere quale fosse il problema, non lo si risolse in tempo. E quando Mikhail Gorbaciov c’entrò il punto, era ormai troppo tardi. Nell’UE di oggi siamo dinnanzi al medesimo errore metodologico, frutto di una trappola mentale in cui siamo caduti in molti casi anche noi stessi cittadini. L’economia ristagna, mentre il mondo corre. Siamo un nano geopolitico insignificante, molto indietro sulle nuove tecnologie (IA). Anziché capire che tutto ciò è conseguenza di un immenso accentramento di poteri in mano ad un gruppo di tecnocrati sconnesso dalla realtà, Bruxelles propina come soluzione il trasferimento di ulteriori poteri verso di esso. E molti di noi cittadini abboccano.
UE più sbaglia e più reclama poteri
“Ci vuole più Unione Europea” sentiamo e leggiamo tutti i giorni. Quando di Unione Europea ce n’è fin troppa, dai tappi che non si staccano dalle bottiglie all’iper-regolamentazione di ogni attività produttiva e umana. Ma continuiamo a cavalcare il cavallo morto, fingendo di non capire che non potrà resuscitare. Qual è il problema? Abbiamo investito un colossale capitale umano e finanziario per costruire una roba che non si regge in piedi. Ammettere che è stato un fallimento, sarebbe come delegittimare sé stessi, le proprie credenze, mettere in discussione tutto ciò in cui abbiamo creduto per decenni. Nessuno ci sta a passare per boccalone. Fu anche per questo che molti dirigenti comunisti nell’ex URSS, pur intuendo che non si potesse andare avanti con quel sistema, non ebbero il coraggio di venire allo scoperto.
Teoria del cavallo morto, monito di Thatcher
La teoria del cavallo morto ci spiega che quando un obiettivo non viene centrato, spesso lo si cambia per renderlo più agevole, mascherando il proprio fallimento. O si dà la colpa all’errata comunicazione, così come si propinano gli stessi strumenti palesemente fallaci per portare avanti progetti sempre più surreali. Scendere da cavallo è la cosa più difficile che si possa fare dopo averlo cavalcato a lungo nella speranza di raggiungere una determinata meta. E’ la paura dell’ignoto a farci desistere. L’UE fu definita “mostro irriformabile” già all’inizio del millennio dall’ex premier britannica Margaret Thatcher, che negli 11 anni e mezzo trascorsi a Downing Street non volle avere nulla a che spartire con la moneta unica e con le velleità comunitarie sulla creazione di un superstato.
Ad un quarto di secolo di distanza tocca dire che avesse ragione.
A mio parere è la migliore descrizione mai letta dell’attuale Unione Europea; centra in pieno quella che è la assoluta estraneità dell’apparato burocratico europeo alla realtà sociale, economica, finanziaria e perfino morale che vivono i cittadini. Resta in fondo l’amaro in bocca nel rendersi conto di quale immensa massa di risorse sia stata sciupata in nome di ideali raramente condivisi e molto spesso astratti, inventati e imposti.