Europa del riarmo riscopre Keynes, così rimpiazza il fallito Green Deal con la spesa militare

Il riarmo in Europa riscopre Keynes per spingere la spesa pubblica, sostenere l'economia e sganciarla dalla dipendenza verso le esportazioni.
2 giorni fa
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L'Europa del riarmo riscopre Keynes
L'Europa del riarmo riscopre Keynes © Licenza Creative Commons

Era il 1933 e nel mondo accadevano due fatti importanti. In Germania saliva al potere Adolf Hitler e negli Stati Uniti debuttava la presidenza di Franklin Delano Roosevelt. Le due potenze sarebbero entrate in guerra tra loro nel decennio successivo, nel frattempo si sarebbero riarmate pesantemente. Ma ebbero in comune la politica economica condotta in quegli anni, caratterizzata da un intenso attivismo dello stato in economia. Tutto ciò fu benedetto ufficialmente nel 1936 dalla pubblicazione di Teoria generale dell’economista inglese John Maynard Keynes.

Keynes e l’equilibrio di sottoccupazione

Pochi uomini al mondo hanno avuto e continuano ad avere così tanta influenza sul modo di pensare delle classi politiche, dirigenti e delle opinioni pubbliche come Keynes.

Egli sostenne che le sole forze del mercato non necessariamente fossero in grado di garantire un equilibrio di piena occupazione. Tradotto: domanda e offerta possono anche incontrarsi, ma facendo rimanere il mercato del lavoro in una condizione di sottoccupazione. La sua critica al pensiero degli economisti classici era la seguente: se la domanda (consumi, investimenti e spesa pubblica) è inferiore all’offerta, quest’ultima si adegua alla prima. S’innesca un circolo vizioso che porterà l’equilibrio sul mercato dei beni e dei servizi a livelli di consumo e produzione bassi e non tali da garantire la piena occupazione delle risorse umane.

Spesa bellica per uscire dalla crisi

La proposta di Keynes fu la seguente: lo stato deve interrompere questo circolo vizioso aumentando la spesa pubblica in deficit. L’economia si risolleverà, l’occupazione salirà e il gettito fiscale anche. Con quali risorse intervenire? Attingendo ai surplus di bilancio accumulati (sic!) negli anni di crescita economica.

Lo stato come stabilizzatore del Pil, insomma. Già prima che il suo libro uscisse, la superpotenza americana aveva iniziato a investire pesantemente in infrastrutture e così anche la Germania. I risultati per Hitler furono molto migliori e immediati. Nel giro di qualche anno dalla nascita del suo primo governo, la disoccupazione era sparita. Negli USA l’uscita dalla Grande Depressione del 1929 fu definitiva solamente con l’ingresso in guerra agli inizi degli anni Quaranta contro l’asse italo-tedesco-nipponico.

Di fatto, il riarmo fu la cura del secolo scorso alla crisi dell’economia nelle principali potenze del tempo. Persino in Italia era avvenuto qualcosa di simile e già prima della crisi del ’29. Il fascismo aveva inizialmente risanato il bilancio pubblico per poi varare un piano colossale di opere infrastrutturali, seguito dalla spesa bellica per le campagne in Africa. I risultati furono discreti, frenati dalle sanzioni comminate dalla Società delle Nazioni dopo l’invasione dell’Abissinia nel 1935.

Keynes sembrava fuori moda negli ultimi decenni di neoliberismo imperante. L’America di Ronald Reagan lo avrebbe abbandonato definitivamente per riscoprire gli “animal spirits” del capitalismo e tendere insieme al Regno Unito di Margaret Thatcher a politiche orientate all’offerta o “supply-side”. L’economista del Novecento teorizzava che anche solo far scavare le buche per poi ricoprirle avrebbe stimolato l’economia, in quanto avrebbe immesso reddito aggiuntivo in circolazione.

Tuttavia, ammoniva che, visto che gli stati avrebbero speso, che almeno lo facessero per cose utili.

Flop per Green Deal

L’Europa giustifica il suo piano per il riarmo con l’inaffidabilità degli Stati Uniti di Donald Trump nel garantirle sicurezza. E’ la fine di una politica post-bellica che andava avanti da 80 anni. Se è vero che l’amministrazione americana minaccia di non difenderci più da eventuali attacchi esterni, chiedendoci di contribuire alle spese militari NATO, la realtà è più complessa. Già con la fine della pandemia l’Europa aveva imboccato la strada di Keynes con il Green Deal. Misure in favore della transizione energetica, imposte alle opinioni pubbliche sull’emergenza climatica e attraverso un’orchestrata campagna di terrorismo mediatico sul riscaldamento globale.

Ma gli elettori si sono ribellati alle urne ovunque a divieti e costi a carico di famiglie e imprese, il cui unico risultato è stato di aggravare la crisi dell’economia e di renderci alle dipendenze della Cina sulle materie prime. L’industria ha subito un grave colpo, reso ancora più duro dal caro energia con la guerra tra Russia e Ucraina. Il flop del Green Deal ha spinto i governi europei ad immaginare una via d’uscita, ferma restando la necessità di sostenere l’economia continentale a colpi di spesa pubblica. Il riarmo è il pretesto in perfetto stile Keynes. Nessuna opposizione sarà realmente efficace per invocare che l’aumento della spesa militare avvenga tagliando altre voci di spesa o aumentando le entrate fiscali. Potrà avvenire “allegramente” in deficit.

Si aspettava solo il cambio di governo in Germania. Il cancelliere uscente Olaf Scholz non aveva la forza dei numeri e personale per imporre la svolta ai tedeschi. Sorretta da Verdi e liberali, rispettivamente tutori del Green Deal e dell’ortodossia fiscale, la sua coalizione è collassata nel novembre scorso dopo anni di forti litigi tra alleati. La vittoria misurata di Friedrich Merz, conservatore e atlantista, è stato l’evento che l’establishment comunitario aspettava per annunciare la svolta sul riarmo. Via libera a un “bazooka” da 1.000 miliardi in deficit, destinato per metà a finanziare investimenti infrastrutturali e per l’altra metà l’aumento delle spese militari.

Keynes arriva in Germania

Keynes ora parla tedesco dopo che per decenni la Germania aveva seguito la linea dell’austerità fiscale, impartendola a tutto il resto dell’Eurozona con il Patto di stabilità. Ma la sua economia vacilla da anni tra sotto-investimenti in infrastrutture, iper-burocrazia, scarse digitalizzazione e innovazione tecnologica e alta pressione fiscale. Ci aveva provato con il Green Deal sotto Scholz, ma l’esperimento è risultato essere un completo disastro: aumento dell’inflazione domestica, crollo della produzione industriale e conti pubblici giudicati truccati dalla Corte dei Conti per ben 869 miliardi di euro. Il riarmo cercherà di mettere una pezza a questa pagina imbarazzante per la credibilità della terza o quarta economia mondiale.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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