Il presidente americano Donald Trump ha definito “in transizione” l’economia degli Stati Uniti, mentre si addensano le nubi tra analisti e investitori circa l’andamento del Pil a partire già dal trimestre in corso. La recessione dell’economia potrebbe essere dietro l’angolo, ma quel che forse al momento stupisce di più è che alla Casa Bianca neanche la considerino un male. Anzi, ci sarebbe dietro una precisa strategia per arrivare, se non a provocarla, almeno ad anticiparla.
Recessione economia apparentemente non vicina
I numeri di febbraio, primo mese intero di presidenza per Trump, ci raccontano di un mercato dell’occupazione ancora vigoroso. Sono stati creati altri 151.000 posti di lavoro, in crescita dai 143.000 di gennaio. Ma il vero dato ostentato dai social vicini alla destra al governo è stato un altro: solamente il 7% dei nuovi posti di lavoro arrivano dal settore pubblico. In media, sono stati il 31% sotto Biden, una percentuale molto superiore alla media degli altri presidenti. A titolo di confronto, nel primo mandato di Trump l’impiego pubblico incise solo per il 9% di tutti i posti di lavoro creati.
Debito sempre meno efficace
Questi numeri ci spiegano qualcosa di quello che è stato propinato spesso come un grande successo della presidenza Biden. Su 5,95 milioni di posti di lavoro creati, 1,844 milioni sono stati dovuti proprio al settore pubblico (-626.000 sotto il primo mandato di Trump). E questo è solo l’inizio di una serie di dati ancora meno confortanti. Il Pil USA è cresciuto a ritmi relativamente vigorosi nei precedenti 4 anni (media del 3,6%), schivando di anno in anno la recessione dell’economia tanto prevista dagli analisti.
Tuttavia, ciò è avvenuto a fronte di un aumento del debito pubblico di ben 8.400 miliardi di dollari. In valore assoluto, il Pil è cresciuto solamente di 7.830 miliardi.
Dunque, in era Biden un dollaro di debito in più ha generato appena 94 centesimi scarsi di ricchezza. Il guaio per la superpotenza americana risiede, però, nella tendenza di lungo periodo: nei primi 20 anni di questo secolo, un dollaro di debito in più ha generato meno di 50 centesimi di crescita del Pil. Detto in parole povere, gli americani si stanno indebitando senza neanche più riuscire a stimolare la loro economia. Dilagano sacche di sprechi pubblici e forse alcuni settori come la difesa, un tempo volano per la ricerca e lo sviluppo, non sono più così produttivi come un tempo. Da qui la ricerca quasi ossessiva di tagli al bilancio ricorrendo anche all’operato di Elon Musk al DOGE (Dipartimento per l’Efficienza Governativa).
Corsa di Trump per mantenere il Congresso
Cosa vuole Trump? Tra dazi annunciati, comminati, sospesi e tagli ai dipendenti federali, vorrebbe sgonfiare quella bolla che si è alimentata negli ultimi anni a colpi di assunzioni nel pubblico impiego. E la borsa, tra il disorientato e la paura, cede il 6,5% dai massimi toccati a febbraio, virando in negativo rispetto all’inizio dell’anno. Alla Casa Bianca va benissimo, consapevole che i titoli azionari fossero e restino sopravvalutati.
E quando un finanziere come Warren Buffett accumula centinaia di miliardi di liquidità, ci sarà del vero in questa affermazione.
Gli USA non conoscono recessione dell’economia dal lontano primo trimestre del 2009. Da allora il Pil è crollato solo una volta nel 2020 a causa della pandemia, che fu un evento extra-economico. Senza, probabile che sarebbe continuato a crescere fino ad oggi. Ma il punto è sempre lo stesso: la crisi non arriva a causa del debito e della dilatazione dell’occupazione statale. C’è il serio rischio che, avendo esaurito ogni spinta propulsiva, d’ora in avanti neanche massicce dosi di nuovo debito pubblico riescano ad evitare la caduta. E Trump vuole evitare di gestire una crisi in piena campagna per le elezioni di medio termine tra un anno e mezzo.
Recessione economia USA prima delle elezioni?
A questo punto, meglio una crisi adesso e cercare di fare campagna elettorale per il rinnovo di parte del Congresso in condizioni di reset e ottimismo, essendo la recessione dell’economia auspicabilmente alle spalle. I corsi azionari cadranno per poi risalire, mentre il Pil si reggerà più sulla crescita dell’occupazione privata e, almeno nelle intenzioni, sulle esportazioni. Dovrà fare minore affidamento sui maxi-budget del Pentagono, anche se la battaglia che il presidente sta ingaggiando con la difesa è tutt’altro che vinta.