Massima pressione, ma anche ramoscello di ulivo per giungere ad un accordo tra Stati Uniti e Iran. Lo ha reso noto in questi giorni il presidente americano Donald Trump, che ha raccontato di avere scritto una lettera all’ayatollah Khamenei per chiedere di negoziare un’intesa. Nella missiva, ha dichiarato, ha espresso il timore che l’alternativa sarebbe una guerra diretta tra le due potenze. Da Teheran non è arrivata alcuna apertura. Il regime islamico ha fatto sapere che non ha intenzione di trattare con un “governo di bulli”. Non ci sarebbero le condizioni, dunque.
Corsa all’uranio spaventa la Comunità internazionale
La verità è che qualcosa si muove nel magmatico Medio Oriente.
Trump insiste per un accordo con l’Iran sul nucleare, ma anche sulla sicurezza della regione. Sembra un paradosso, visto che fu proprio lui nel 2018 ad avere stracciato il “Joint Comprehensive Plan of Action”, l’accordo sottoscritto dalla precedente amministrazione Obama nel 2015. Differenze di vedute sulla geopolitica, certo. Ma il vero problema di quel patto fu l’assenza di deterrenza nei confronti della Repubblica Islamica. Si era impegnata a limitare l’arricchimento dell’uranio al 3,67% o 300 kg, mentre adesso viaggia al 60%, 22 volte la quantità concordata. Al 90% si arriva alla costruzione di armi nucleari. Sembra questione di tempo.
I numeri provengono dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica, che ha espresso grande preoccupazione in tal senso. Teheran è l’unica potenza non nucleare al mondo a disporre di così tanto uranio arricchito. Ufficialmente, lo farebbe per scopi non militari e legati alla produzione di energia per la popolazione civile. Tutti sanno che così non è. Resta solo il dubbio se l’obiettivo finale consiste realmente nella costruzione di un’arma nucleare o se l’arricchimento dell’uranio serva più ad avere le “carte” con cui giocarsela con gli Stati Uniti sul tavolo delle trattative per ridisegnare gli equilibri nella regione.
Teheran senza alleati o indeboliti e con economia al collasso
A spingere per un accordo con l’Iran ci sarebbe anche la Russia di Vladimir Putin, mai così vicina a Washington come in queste settimane. Mosca è alleata del regime islamico e può mediare tra le parti, anche se Trump non ci pensa neanche a presentarsi ad un eventuale negoziato da una posizione di debolezza. Per questo sta massimizzando le sanzioni americane ai danni delle esportazioni petrolifere, comprese quelle di secondo livello, cioè che riguardano gli stati terzi come l’Europa. Sotto l’amministrazione Biden l’embargo era diventato una barzelletta. L’Iran è riuscita ad esportare la media di 1,5 milioni di barili al giorno negli ultimi tempi. In valore, fino a più di 50 miliardi di dollari all’anno, qualcosa come l’11-12% del Pil.
Ma le vere carte le possiede ora Washington. Anzitutto, perché l’Iran ha perso o ha visto indebolirsi estremamente negli ultimi mesi tutti i suoi alleati nel Medio Oriente. Hamas a Gaza è con l’acqua alla gola dopo 15 mesi di guerra con Israele.
I ribelli Houthi nello Yemen sono stati ridimensionati, Hezbollah in Libano è stato estromesso dal potere e la Siria di Assad non esiste più. Poi, c’è l’economia. Da quando Trump è stato rieletto presidente, il cambio al mercato nero ha perso il 30% contro il dollaro, crollando ai nuovi minimi storici. L’inflazione resta ben sopra il 30% e il deficit fiscale al 6% del Pil.
Accordo con Iran per abbassare il petrolio
Come se non bastasse, più petrolio l’Iran esporta e più non gli basta per coprire le esigenze del bilancio statale. Ad esso servirebbero quotazioni internazionali intorno ai 124 dollari al barile per tendere al pareggio. Ieri, erano a 70 dollari, in forte calo dall’apice degli 82 dollari raggiunti a gennaio. Un accordo con l’Iran nell’immediato appare per il momento difficile. Ci sono i casi Ucraina e Striscia di Gaza da risolvere prima e nel frattempo Trump vorrà accumulare sufficienti munizioni per presentarsi alle trattative con l’arma carica al massimo.
Se prima o poi arrivasse, sarebbe un potenziale duro colpo per il mercato del petrolio, ponendo fine all’embargo e aumentando così ulteriormente l’offerta globale. Di questo il presidente americano ha bisogno per far scendere l’inflazione e rispondere alla promessa elettorale di abbassare il costo della vita al suo popolo. Allo stesso scopo ha riallacciato ai massimi livelli i rapporti con l’Arabia Saudita del principe Mohammed bin Salman, nemico giurato degli iraniani e sede ospitante anche nelle scorse ore del negoziato tra USA e Russia.
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