I recenti crolli di borsa hanno buttato al tappeto anche i prezzi delle obbligazioni bancarie senza scadenza. Solidi istituti come Intesa e UniCredit offrono adesso rendimenti eccezionali a fronte di un rischio elevato ma diverso rispetto ai bond tradizionali
Nessuna pietà nemmeno per i perpetuals, affascinanti titoli obbligazionari subordinati senza scadenza (o meglio, con scadenza lontanissima nel tempo), molto rischiosi, via di mezzo fra azioni e obbligazioni, in questo clima di panico e sfiducia che si è venuto a creare sui mercati internazionali. Gli investitori e i fondi, soprattutto quelli assicurativi che puntano spesso su questi strumenti finanziari per via del lunghissimo orizzonte temporale, hanno visto le quotazioni cedere di schianto sulla scìa dei crolli in borsa dei titoli bancari e a seguito dell’abbassamento di rating o di outlook da parte delle agenzie di rating.
Alcuni perpetui bancari nostrani di emittenti più che sicuri – fanno notare dalle sale operative – come Uncredit o Intesa San Paolo offrono al momento rendimenti eccezionali se si pensa che dalla data di collocamento hanno perso più del 40% del loro valore. Intesa San Paolo con cedola annuale del 8,375% (Isin: XS0456541506) , collocata meno di un anno fa a 100, viene trattata adesso sotto 60, ma anche Unicredit 8,125% (Isin: XS0470937243), tanto per fare un altro esempio, ha perso molto appeal e si prende a 56. Non sono messi meglio nemmeno i perpetuals bancari stranieri con rating affidabili, quali l’olandese ING 8% che si compra a 89, la SNS Bank 11,25% che prezza intorno a 74 o la francese BPCE 9,25% che viaggia sui 78. Ma vale la pena approfittare dei prezzi da saldo del momento o è meglio stare alla larga da questo tipo di strumenti finanziari finché tutto non sarà più tranquillo e il clima più sereno? Dare una risposta sui due piedi è impossibile poiché bisognerebbe avere la sfera di cristallo, però è bene tenere presenti i pro e i contro di un investimento di questo tipo.
GLI ACCORDI DI BASILEA – BASILEA 3 I punti a favore – sostengono gli analisti – sono due: da una parte abbiamo la solidità degli emittenti, soprattutto di quelli che recentemente hanno portato a compimento aumenti di capitale (Intesa San Paolo, Banco Popolare, UBI) e che hanno sempre remuneratogli azionisti (dividendi) non suscitando il minimo dubbio sul loro grado di affidabilità nel tempo.
Dall’altra abbiamo invece il nuovo accordo di Basilea 3 che nei fatti spinge gli istituti di credito a rispettare nuovi e più stringenti vincoli patrimoniali entro il 2019, fatto che accrescerà – secondo gli addetti ai lavori – l’appeal dei bond perpetui di più vecchia emissione che dovrebbero essere rimborsati anticipatamente attraverso l’esercizio delle call, la cui data è stabilita dall’offerente. I perpetui attualmente in circolazione sono, infatti, considerati come capitale azionario e quindi come parte del patrimonio che Basilea 3 ha voluto rafforzare, ragion per cui le banche dovranno progressivamente ridurre l’utilizzo di strumenti subordinati. Inoltre, essendo i perpetui subordinati alla distribuzione degli utili societari (pagano la cedola annua solo se la società emittente decide di ripagare allo stesso tempo gli azionisti con un dividendo) e considerato che le banche hanno necessariamente bisogno di remunerare gli azionisti che hanno sottoscritto gli aumenti di capitale, è ancor più evidente che tali strumenti di debito verranno prima o poi tolti di mezzo. In quest’ottica, è bene tenere d’occhio i risultati che periodicamente (ogni tre mesi) le banche emettono e che solitamente forniscono un quadro abbastanza chiaro di quello che potrebbe essere il conto economico di fine anno oppure aspettare la primavere quando verrà ufficializzata la distribuzione degli utili di esercizio. Se vi saranno dividendi per i soci, verranno quindi pagate anche le cedole agli aobbligazionisti perpetui.
GLI INTERESSI NON SONO GARANTITI Tuttavia ciò non costituisce una garanzia matematica per l’investitore poiché il settore finanziario italiano è in questo momento in piena crisi e, in caso di discesa del coefficiente patrimoniale complessivo delle banche al di sotto del 5% per effetto di perdite di esercizio, il dividendo verrebbe sospeso e così anche la cedola dei bond, con perdita secca degli interessi in capo agli obbligazionisti.
Una eventualità – fanno notare da una SIM milanese – che solitamente gli emittenti bancari cercano di evitare per un discorso di credibilità da difendere, ma che non va trascurata, soprattutto alla luce del recente crollo dei prezzi di mercato. Nel 2009, ad esempio, anno nero per i mercati finanziari, Intesa San Paolo e Banco Popolare non avevano distribuito dividendi, mentre Unciredit aveva distribuito azioni ai soci. Ciò nonostante le cedole obbligazionarie dei bond perpetui erano state corrisposte regolarmente perché comunque i soldi in cassa c’erano e le quotazioni erano precipitate a seguito di un crollo generale dei mercati partito da Wall Street. Ora, però, il problema è diverso. Le banche italiane sono impegnate a sostenere il debito pubblico e stanno destinando molte risorse finanziarie a questo scopo che è prioritario rispetto a tutti gli altri costi finanziari. C’è quindi il rischio – come ammonisce il FMI – di contagio dei debiti sovrani sulle banche che hanno in pancia molti titoli di stato e le obbligazioni perpetue non possono che risentirne direttamente a lungo andare.
UNICREDIT E INTESA SU TUTTI Più luci che ombre in definitiva sul settore obbligazionario perpetuo? A conti fatti sembrerebbe di sì, però è sempre bene tener presente che avvicinarsi a questi strumenti finanziari implica un grado di rischio superiore alla media. Per ridurre i rischi il più possibile – sostengono gli esperti – è comunque meglio prediligere emittenti di spiccata solidità patrimoniale e finanziaria, come Intesa San Paolo recentemente ricapitalizzata con 5 miliardi di euro, oltre che seguirne le vicende quotidiane in grado di orientare l’umore degli investitori. Unicredit, ad esempio, benché le quotazioni azionarie siano vicine ai minimi storici, ha fatto sapere di non avere impellente bisogno di ricorrere a un aumento di capitale rimborsando contestualmente in anticipo due bond obbligazionari decennali per 1,5 miliardi di euro e dando così prova di larga disponibilità finanziaria.
Diversificare il più possibile gli emittenti aiuta, infine, a ridurre il rischio tenendo presente che molte emissioni hanno tagli minimi proibitivi (50.000 euro nominali) per i piccoli risparmiatori, cosa che, però, dato il recente crollo dei prezzi, comporterebbe in questo momento una spesa decisamente più bassa.