Con l’ordinanza n. 4947 dello scorso 8 febbraio, la Suprema Corte di Cassazione chiarisce in riferimento ad una società cartiere, che le fatture emesse dalla stessa non hanno lo stesso valore che viene riconosciuto ai documenti regolari. Conseguentemente, non rientrano nella contabilità ai fini Iva e come tale, anche se i pagamenti sono tracciabili, è legittimo il sequestro preventivo.
La vicenda
Il caso posto all’attenzione degli ermellini, deriva da una società a responsabilità limitata, indagata del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
Il ragionamento della Cassazione
La Corte nell’ordinanza in questione segue una logica ben precisa. In primo luogo, stabilito che le misure cautelari reali nel caso di specie il sequestro preventivo) che possono essere adottate per il reato di dichiarazione fraudolenta, conseguono l’ uso di fatture per operazioni inesistenti, la Corte di Cassazione conferma il ruolo di garanzia del giudice del riesame, ma aggiungendo qualcosa in più. In alcune sue pronunce, la stessa Corte aveva avuto modo di chiarire come costituisce principio consolidato che il giudice del riesame deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, con l’obbligo di dover esaminare tutte le tesi e gli elementi che incidono sulla sussistenza del reato contestato.
Il Tribunale del riesame
Se nel caso in oggetto, la Corte ha affermato che “i giudici del riesame hanno compiutamente analizzato gli elementi in fatto rappresentativi della sussistenza del ‘fumus’ del reato…”, nel particolare si nota che il Tribunale del riesame aveva accertato, con l’aiuto delle Fiamme gialle, che in merito ad operazioni soggettivamente inesistenti, la società fornitrice delle merci fatturate fittiziamente, erano carenti dal punto di vista strutturale, intendendo per mancanza in tal senso l’assenza di mezzi adeguati per il trasporto o per l’accoglimento delle merci, nonché l’assenza di personale. Conseguentemente, le operazioni commerciali fatturate in realtà non erano mai avvenute con tali operatori commerciali ma risultavano essere state compiute invece da una società comunitaria con sede legale all’estero. L’ovvia e scontata conseguenza dell’emissione di codeste fatture fittizie, permetteva alla società acquirente di detrarre l’Iva, esponendosi però essa stessa al rischio concreto di una condanna per il reato previsto dall’articolo 2 del Dlgs 74/2000.
Fatture per operazioni inesistenti
La norma in questione letteralmente recita che “è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi”.
L’inesistenza in tal caso è data allora da una parte dal fatto che non esiste l’operazione economica, sia essa oggettiva o soggettiva, totale o parziale, dall’altra che lo stesso documento che la certifica ha natura inesistente.
Fatture per operazione inesistenti senza rilievo ai fini contabilità Iva
Le fatture inerenti operazioni economiche inesistenti, sia in tutto che in parte, anche quando indicano un emittente diverso da quello che in verità effettua la prestazione ovvero quando rappresentano operazioni mai realizzatesi, si qualificano ovviamente come documenti sprovvisti del valore di attestazione che il nostro sistema tributario riconosce alle fatture regolari o ad altri documenti che hanno “rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie”. Come tali, secondo due diverse pronunce della stessa Cassazione, una del 2012 e una di quest’anno, le fatture riferite a operazioni inesistenti non rilevano nella contabilità a fini Iva.
La dichiarazione fraudolenta
La Cassazione, sulla base di queste considerazioni, afferma nella sua ordinanza, come sia legittimo il sequestro preventivo, in caso di dichiarazione fraudolenta, che presenti cioè tutti gli elementi descrittivi della fattispecie criminosa disciplinata all’articolo 2 del decreto legislativo n. 74 del 2000. Una dichiarazione è fraudolenta allora, seguendo il ragionamento della Corte, non solo quando è letteralmente mendace, ma anche quando presenti un certo “coefficiente di insidiosità” per essere supportata da un particolare impianto contabile e/o documentale. La Corte, inoltre, ha tenuto conto che il reato di dichiarazione fraudolenta così individuato, è un delitto di tipo commissivo e di mera condotta, “diretto al risultato dell’evasione d’imposta”, con natura istantanea e si consuma con la presentazione della dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto.