Il Bharatiya Janata Party di Narendra Modi ha stravinto le elezioni politiche in India, conquistando 334 dei 543 seggi del Parlamento. Il Partito del Congresso ha riconosciuto la sconfitta, la più catastrofica dal 1947 per la formazione che ha guidato il subcontinente asiatico per la maggior parte del tempo dall’indipendenza del Regno Unito ad oggi. Il trionfo del centro-destra ha messo le ali alla Borsa di Mumbai, il cui S&P BSE Sensex è arrivato a guadagnare il 6,15%, per poi ripiegare a un più modesto 0,7%.
La
rupia indiana si è rafforzata dello 0,3% contro il dollaro. E da quando il BJP ha nominato Modi suo candidato per le elezioni di queste settimane, la borsa indiana ha guadagnato 332 miliardi di dollari. Le ragioni di tanto entusiasmo sono diverse: il
Partito del Congresso, che ha governato in coalizione con altri partiti negli ultimi 10 anni, si è dimostrato incapace di fare le riforme necessarie a far crescere l’India più di quanto avrebbe potuto. Gli investitori pensano che il fatto che un solo partito abbia ottenuto la maggioranza dei seggi potrebbe far ripartire proprio il processo riformatore. Il resto lo fa la figura di Modi, governatore dello stato di Gujarat, apprezzatissimo dagli industriali per le sue politiche pro-business. Sotto il suo governo, il pil nel Gujarat è cresciuto più della media nazionale in 11 anni su 12 ed è quadruplicato a 61.220 rupie (1.040 dollari). Le sfide che il nuovo premier avrà dinnanzi a sé sono tante: anzitutto, contenere un’
inflazione schizzata all’8,59% in aprile e rilanciare una crescita che nell’anno fiscale chiuso a marzo dovrebbe essersi attestata al 4,9%, vicina al 4,5% dell’anno precedente, il tasso più basso dell’ultimo decennio. Il governatore della
Reserve Bank of India, Raghuram Rajat, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale e stimato in tutto il mondo, ha già avviato una stretta monetaria sin dal suo insediamento nel mese di settembre del 2013, che ora potrebbe proseguire, dati i proclami anti-inflazione del neo-premier.
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deficit fiscali di questi anni, nonché il rilancio degli investimenti esteri nel paese. A tale proposito, non può passare inosservata la politica eccessivamente assistenziale e spesso clientelare del governo uscente, che nel corso degli ultimi 4 anni ha innalzato dal 10% al 14% del pil le spese per sussidi. Il vero banco di prova sarà adesso verificare se il governo a guida Modi sarà in grado di rivoluzionare un’economia che ha bisogno di meno assistenza e più investimenti in un paese dove 800 milioni di persone vivono con meno di 2 dollari al giorno.
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