Un altro articolo del Telegraph lancia l’allarme default per l’Italia. Lo fa dalle colonne del quotidiano britannico Roger Bootle, amministratore delegato di Capital Economics e vincitore del Premio Wolfson economics del 2012. Bootle ricorda i fasti dell’economia italiana, quando negli anni Settanta superò per pil l’economia del Regno Unito, un evento definito dalla stampa “il sorpasso”. Anche se quel benessere fu perseguito con alti tassi d’inflazione e nonostante una politica caotica, la situazione fu ribaltata nel 1995, quando il Regno Unito tornò a superare l’Italia.
Da allora, spiega, il divario tra le due economie si è ampliato in favore di Londra. D’altronde, dal 1999 ad oggi, ossia da quando l’Italia ha adottato l’euro, il suo pil è cresciuto mediamente dello 0,3% all’anno, ossia è rimasto fermo. Oggi, è del 9% al di sotto del picco raggiunto nel 2007, unico paese del G7 insieme al Giappone a non avere superato ancora la
crisi finanziaria esplosa nel 2008. Il Canada, per fare un esempio, ha un pil oggi del 9% in più di quello del 2007.
APPROFONDISCI – Italia verso la bancarotta: nuovo record del debito pubblico e produzione industriale giù Le ragioni di questo disastro non stanno solamente nell’euro. L’Italia, spiega Bootle, non ha fatto le riforme per rilanciare la sua competitività e ha subito più delle altre economie la concorrenza dei mercati emergenti, perché a differenza della Germania, produce essenzialmente beni di largo consumo a basso contenuto di tecnologia. Tuttavia, la moneta unica ha impedito un riequilibrio, in quanto non ha permesso le variazioni del cambio necessarie per giungere agli aggiustamenti con gli altri paesi. Il manager osserva che l’Italia non ha tanto un problema di deficit, pari al 3% del pil, ma di
debito pubblico, oltre il 130% del pil. Nonostante ciò, paga i rendimenti a 10 anni sui suoi bond sovrani solamente al 2,4%, la classica situazione, aggiunge, di quiete prima della tempesta.
Secondo l’ad di Capital Economics, l’Italia si troverebbe in una “trappola del debito”. Non cresce e ciò fa lievitare di continuo il rapporto tra debito e pil. Ma per crescere non sarà sufficiente il solo varo delle riforme tanto attese e mai attuate. Fin quando il nostro paese rimarrà nella moneta unica, non potrà riprendersi del tutto. E se è vero che è poco esposta verso l’estero (le passività finanziarie sono più alte delle attività verso l’estero del 30% del pil), ciò non esclude che gli elevati risparmi italiani smettano a un certo punto di finanziare la montagna del debito, quando ci sarà la percezione diffusa che prima o poi scatti il default. Bootle ritiene che una ristrutturazione del debito pubblico italiano avrebbe conseguenze molto gravi sul sistema finanziario globale, dato che il nostro mercato dei bond è il terzo più grande al mondo, dopo USA e Giappone. Genererebbe una grave crisi bancaria, visto che gli istituti sono colmi del nostro debito sovrano. Ma non ci sarebbe alcuna alternativa per il manager all’uscita dell’Italia dall’euro. E si chiede: quanto altro tempo ancora dovrà essere sprecato, prima che i suoi politici si rendano conto che bisogna rinunciare alla moneta unica?
APPROFONDISCI – Mediobanca: debito pubblico al 145% del pil nel 2015. Scatta l’allarme ristrutturazione Allarme ristrutturazione debito pubblico dopo le parole choc di Del Rio?